Elementor #1353

by Stefano Pedron

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carnevale

Le massaie sarde sono le regine incontrastate delle fritture. Esistono infatti decine di
ricette che hanno come protagonisti i fritti, dolci e salati. Nella cucina tradizionale si
frigge tutto, dal pane alle palline di ricotta.
Carnevale è una festa pagana antichissima, mai cristianizzata. Carnevale in Sardegna
è molto sentito e festeggiato in una miriade di modi. Si va dalle classiche mascherate
alla sfilata di maschere ancestrali, come i famosi Mamuthones, ai roghi in piazza di
pupazzi, alle corse sfrenate di cavalli e cavalieri mascherati come nel caso della
Sartiglia di Oristano ma gli esempi sono tanti e potrebbero continuare.
Non c’è borgo nell’Isola che in qualche modo non festeggi il Carnevale. Ovviamente
a tavola si scatena la fantasia e il piacere del cibo, essenzialmente con degustazione di
frittelle, salumi, formaggi e copioso vino.
Tra le frittelle citiamo i Pirichittos, palline di pasta fritte, poi immerse nello zucchero
caramellato e modellate manualmente secondo una forma scelta, spesso a corona. Si
tratta di un dolce tipico della Nurra e del Sassarese.
E ancora le Orillettas nuoresi, costituite da sorta di nastri e treccioline di pasta fritti e
poi immersi nel miele. O ancora i classici Orrubiolos, palline di ricotta o formaggio
fritte e passate nello zucchero semolato, che sono come le ciliegie, una tira l’altra.
Famosi i ravioli dolci di mandorla, uno dei PAT (Prodotto Agroalimentare
Tradizionale) della Sardegna, variamente denominati: cruxioneddu de mindua,
culungioneddos de mendula eccetera.
Questi ravioli dolci ripieni di pasta di mandorla vengono fritti e poi possono essere
completati da zucchero semolato o miele.
La notissima seada o sevada è un tortello ripieno di formaggio fritto e poi cosparso di
miele amaro. Si consuma tutto l’anno, e a Carnevale non manca mai come coccola di
fine pasto.
Infine citiamo le zeppole tipiche della tradizione sarda, insieme alle “chiacchiere” o
meraviglias, ai bugnolos (o brugnolos) di ricotta e patate, e ai Parafrittus o “frati
fritti” o “fatti fritti”.
Questo nome scherzoso “frati fritti” pare derivare o dalla forma della ciambella, che
assomiglia alla chierica dei frati, o dal loro essere morbidi e arrotondati e dal fatto
che una volta fritti presentano la linea di galleggiamento più chiara, simile ad un saio
con il cordone. Anche in Toscana, tra Lucca e Livorno, un dolce simile si chiama
“frate”. Per gli estimatori dei parafrittus più ampia è questa linea chiara, migliore è
stata la lievitazione e dunque più buono al palato è il dolce.

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Mirto bianco

Le bacche del mirto bianco (Myrtus communis var. leucocarpa) sono rare e preziose,
assai meno diffuse delle classiche bacche di mirto scuro. Anche per questo motivo
sono molto ricercate dagli appassionati di liquori e distillati. Il mirto è un arbusto
caratteristico della flora sarda, si trova lungo i pianori e pendii costieri di tutta l’isola
e cresce spontaneo da sempre.
Il liquore di mirto bianco viene ricavato da particolari bacche depigmentate prodotte
dalla pianta di quella particolare varietà: i frutti non hanno il caratteristico colore
violaceo con le quali si produce il mirto rosso, ma si propongono come piccoli frutti
tendenti al bianco.
Aromatiche, delicate e genuine quali sono, queste bacche bianche rappresentano
l’ideale per la preparazione casalinga del famoso mirto sardo bianco, leggendario
liquore iconico della Sardegna dal gusto intenso e dalle note proprietà digestive.
Per preparare in casa il liquore di mirto bianco occorrono almeno 1 kg di bacche
fresche di mirto bianco per ogni litro di alcool, a cui si aggiunge poi un quantitativo
di acqua quasi di pari peso. La quantità di zucchero semolato deve essere circa la
metà, sui 500/600 grammi.
Le fasi della preparazione sono le usuali: prima si fanno macerare le bacche fresche
con l’alcool, poi avviene la delicata pressatura delle bacche dopo circa un mese di
macerazione, di seguito si aggiunge lo sciroppo di acqua e zucchero, e si lascia
maturare il liquore.
Dopo qualche settimana questo il liquore di mirto bianco è pronto per essere gustato
in compagnia; stupite a fine pasto i commensali con il colore delicato di questo
liquore unico e pregiato; il mirto bianco si beve a temperatura ambiente in inverno, a
fine pasto, e freddo d’estate, da solo o accompagnato a dolci a base di mandorle come
gli amaretti o i classici biscottini secchi della pasticceria sarda.

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Olio sardo

L’olio evo sardo è uno straordinario bouquet di profumi e sapori, collegati agli aromi erbacei, di
cardo, di carciofo, di mandorla fresca e di erbe aromatiche. Fruttato, intenso o delicato, amaro e
piccante, è ottimo per insalate e piatti d’alta cucina della tradizione mediterranea e cucina
moderna.
In Sardegna gli ulivi centenari, patrimonio naturale, ondeggiano mossi dal maestrale e l’olio
custodisce questo gusto unico. L’olio extravergine di oliva è anche una delle DOP sarde.
Del resto l’ulivo -insieme alla vite e al grano- è una delle colonne della cultura gastronomica
mediterranea. In Sardegna troviamo tracce di utilizzo delle drupe di Olea europaea durante l’Età
del Bronzo, nel complesso nuragico di Sa Osa (Cabras, Oristano) e del complesso di Cuccurada
(Mogoro, Oristano).
Una statuina di Aristeo, conservata al Museo Archeologico di Sassari, lo rappresenta con un sacco
e tre ampolle che dovrebbero contenere i tre preziosi liquidi da lui donati agli uomini: miele, latte
e l’olio di oliva. Per questo, sull’introduzione dell’ulivo in Sardegna viene chiamato in causa l’eroe
mitologico Aristeo, che secondo le fonti classiche promosse sull’isola agricoltura, apicoltura e
pastorizia, e la tecnica dell’estrazione dell’olio dalle olive.
Attualmente la coltivazione dell’ulivo, in espansione, è presente in quasi tutti i comuni dell’Isola
con concentrazioni principalmente nell’area vasta del Sassarese, nelle subregioni storiche del
Parteolla, in Barbagia nella zona di Oliena, nel Montiferru e nel Linas. Molte le cultivar presenti
sull’Isola, tra cui la Bosana a Bosa e Sassari, la Tonda di Cagliari, la Nera di Gonnos e Tonda di
Villacidro nel Campidano, la Nera di Oliena e infine la Semidana nella zona di Oristano.
I tratti distintivi forti e marcati, le elevate qualità organolettiche e nutraceutiche hanno consentito
agli oli evo sardi di vincere negli ultimi vent’anni numerosi premi nazionali e internazionali nei
concorsi dedicati al prodotto.
Anche in Sardegna sono numerosi i concorsi, le sagre e i festival legati all’olio e alle olive da
mensa; inoltre alcuni paesi e cittadine fanno parte dell’Associazione Nazionale delle “Città
dell’olio” con eventi interessanti legati a passeggiate in oliveti, degustazioni guidate e visite alle
aziende.

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intervista

Intervistiamo Giorgio Diana, lo chef cagliaritano protagonista della scena
gastronomica internazionale. Partito dalla sua Sardegna 20 anni fa, dove torna quando
può per motivi affettivi, ha avuto molti riconoscimenti importanti. Inserito per ben
due volte di seguito nella classifica The Best Chef Awards, che comprende i 300
migliori chef del mondo e che conta pochi chef italiani, per 3 anni consecutivi è stato
premiato come miglior chef d’Africa, e nel 2019 è stato insignito del titolo di Head
Chef dell’intero continente africano.
Recentemente è stato anche premiato come “chef novità dell’anno”; per il 2023 si è
piazzato ventottesimo su 50 chef nella notissima classifica 50topItaly. Attualmente
segue dei progetti gastronomici in diverse parti del mondo, con il suo Dinner
Incredible, organizzando eventi con alcuni dei migliori chef a livello mondiale.

Qual è la tua visione della cucina?

La mia visione del lavoro prevede prodotti locali, anche se non sempre è possibile. Al
Cairo – ad esempio – dove lavoro da anni, non puoi usare solo prodotti locali per la
cucina italiana, ma cerco comunque sempre la sostenibilità in cucina, quindi
appoggiandomi per quanto posso al territorio e alle sue produzioni tipiche.

Quali sono gli ingredienti sardi che non mancano mai nella tua cucina e qual è il
tuo comfort food?

Sono tanti! Ti cito la Bottarga di muggine, che uso tanto, ad esempio faccio un
raviolo ripieno di gamberi, bottarga, burrata; poi uso molto il pecorino sardo. La mia
cucina è sarda, italiana e mediterranea, in fondo condividiamo con il resto del
Mediterraneo tanti prodotti… gli stessi pesci, le stesse verdure, no?
In cucina uso parecchi prodotti italiani, posso citare la farina, la semola di grano duro,
formaggi come il Castelmagno, il Taleggio, il Gorgonzola, il basilico italiano, i
pomodori e pelati San Marzano, la burrata di Andria, il riso, la pasta, solo di alcuni
marchi, che per me sono eccellenze.
Mio nonno -che è mancato lo scorso- era Gianpaolo Loddo, il papà di mia mamma,
noto attore e personaggio della cagliaritanità. Era un cultore de sa cassola di pesce, e
io ho ereditato da lui questo amore. Amo tutto ciò che è cagliaritano e campidanese,
perché mi ricorda la mia infanzia sarda. Come sa burrida a sa casteddaia, come le
lumache con il pan grattato alla campidanese… Come prodotto merita una seria
valorizzazione tra i tanti prodotti la bottarga di muggine; per me dovrebbe essere un
prodotto IGP (Indicazione Geografica Protetta), come minimo.

Cosa bolle in pentola, Chef?

Tante cose; sto creando dei progetti in Thailandia, Africa, Stati Uniti; voglio fare tre
o quattro grandi eventi all’anno in giro per il mondo. Per ora non posso dire di più, ne
risentirete parlare. Voglio fare qualcosa che sia solo mio, questo è il progetto per il
2023 che è appena iniziato.

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miele di corbezzolo

È un alimento antico, ricco di vitamine e sali minerali, che addolcisce senza appesantire. L’origine
del miele e dell’apicoltura in Sardegna è legata a doppio filo ad Aristeo, compagno di Dioniso nei
suoi viaggi per il mare e Dio del miele. La leggenda racconta che Aristeo insegnò ai sardi la
coltivazione degli olivi e della vite, la lavorazione del latte e l’apicoltura. Il Museo archeologico di
Cagliari conserva una bellissima statuetta che rappresenta Aristeo col corpo ornato di api, trovata
nel centro dell’Isola, a Oliena (Nu), in una regione detta sa vidda ’e su medde, il villaggio del miele.
Gli “abiaresos”, apicoltori in sardo, sono citati già nei Condaghe, documenti medievali sardi legati a
monasteri come quello benedettino camaldolese di Santa Maria di Bonarcado, nell’Oristanese, a
testimonianza della rilevanza dell’attività economica già nel Medioevo e dell’uso del miele in
cucina.
In Sardegna i sapori e profumi del miele si tingono dell’aroma di agrumi, asfodelo, cardo,
corbezzolo il famoso “miele amaro” citato in tante fonti classiche, e poi ancora eucalipto,
millefiori, rosmarino.
Il miele è ingrediente prezioso di rinomati dolci della pasticceria tradizionale sarda, dalla notissima
sebada a s’aranzada nuorese, dalla pompìa, agrume delle Baronie che viene candito nel miele, sino
al famoso torrone. Una natura lussureggiante, che conta tantissime piante da nettare e il clima
mite fanno della Sardegna la regione italiana più vocata nella produzione di miele di qualità.
L’apicoltura ha una tradizione importante e collaudata e perciò esistono numerose aziende isolane
specializzate nella produzione di miele. Alcuni borghi sardi fanno parte dell’associazione nazionale
delle “Città del miele” e istituiscono ogni anno prestigiosi concorsi che premiano i migliori mieli.
Il miele di corbezzolo, amarognolo, aromatico, squisito, si accompagna bene ai formaggi
stagionati, si abbina meravigliosamente al pane tutto, in particolare al pane carasau, ed è uno dei
mieli più indicati per insaporire sa sebada.

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fiore sardo

Si tratta di un formaggio straordinario, ricercato dai cultori del buon mangiare. Probabilmente è di antica schiatta e si esportava, insieme ad altri prodotti caseari, sin dal Medioevo, con il nome di formaggio rosso, per la sua pasta giallo brillante, dovuta alla lunga e sapiente maturazione. Tra le destinazioni dei pecorini sardi in Età moderna figurano i porti di Napoli, Livorno, Genova, Nizza e Marsiglia.
Oggi il mercato dei prodotti caseari mostra vivacità e capacità di diversificare il prodotto e innovare i processi produttivi; il Pecorino Romano DOP, del resto, è il formaggio di pecora più esportato al mondo, il Pecorino Sardo DOP incarna i grandi saperi dei casari sardi e il Fiore Sardo DOP richiama subito alla mente la millenaria sapienza tradizionale isolana.
Ancora oggi il Fiore sardo DOP viene prodotto in buona parte artigianalmente dai pastori secondo una tecnica antichissima utilizzando latte crudo. Il sapore è pieno, deciso, più o meno piccante a seconda della stagionatura. È un prelibato secondo piatto, adatto anche a fine pasto come formaggio da meditazione insieme ad un vino liquoroso o passito; quando è stagionato è ottimo anche da grattugia.
Il suo nome deriva dall’abitudine antica di ottenerlo lavorando tutto il latte, compreso il cosiddetto fiore o panna del latte, che conferisce al prodotto un sapore incomparabile, ricco, complesso e persistente al palato. 

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Pecorino-romano

Pani e casu, binu a rasu. Pane e formaggio, bicchiere colmo di vino è un antico proverbio sardo che racconta del rapporto quasi simbiotico tra i Sardi e i loro formaggi, specie i pecorini, di cui se ne producono centinaia di tipologie. Il più noto dei pecorini rimane il Romano DOP, di cui esiste una ricca produzione, grazie ad un patrimonio ovino di oltre 3 milioni di capi. Con questi numeri l’Isola si colloca al vertice della produzione italiana dei formaggi pecorini, con i moderni minicaseifici e caseifici disseminati sul territorio regionale che mettono sul mercato prodotti straordinari.
E partendo da un latte sardo di alta qualità non poteva essere altrimenti. Un latte ricco di elementi probiotici e nutraceutici grazie alla pratica millenaria del pascolo semibrado e alla ricchezza dei pascoli sardi. Prodotti della tradizione, i formaggi isolani custodiscono ancora oggi il sapere millenario dei pastori e dei casari sardi e il carattere di una terra fiera e selvaggia. 
L’allevamento di ovini, caprini, bovini e la produzione di prodotti lattiero-caseari è plurimillenaria, risale al periodo prenuragico.
Le fonti storiche medievali mostrano l’esportazione dei formaggi detti “sardeschi” alla volta della penisola e citano varie tipologie di formaggi, comprese perette vaccine, a testimonianza della molteplicità delle produzioni in terra sarda.
Il Pecorino Romano DOP è una produzione relativamente recente, risalendo ormai ad un centinaio di anni fa quando casari laziali si stabilirono sull’Isola attirati dall’ottima produzione di latte per produrre un formaggio pecorino molto richiesto dal mercato americano, il famoso Pecorino Romano. Nei decenni le aziende si sono perfezionate, è cresciuto l’export e oggi il Romano DOP è il pecorino più esportato al mondo. 
Può essere prodotto unicamente in Sardegna, nel Lazio, e per la Toscana nella sola provincia di Grosseto. Ha una stagionatura di almeno 5 mesi, se consumato come formaggio da tavola, o di almeno 8 mesi ed oltre, se consumato come formaggio da grattugia. Il suo aroma è intenso con caratteristico sapore piccante, gradevolmente deciso.

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torrone sardo

Dolce per eccellenza delle festività natalizie, il torrone sardo è una specialità dell’Isola e fa parte
dei Prodotti Agroalimentari della Sardegna iscritti nel registro del Ministero. Negli anni ’50 del
secolo scorso i paesi nei quali era maggiormente prodotto erano Aritzo, Tonara, Guspini ed Ales,
anche grazie alla disponibilità delle sue materie prime: mandorle, noci, nocciole, miele.
Attualmente la maggior parte delle aziende artigianali che lo producono sono dislocate tra Medio
Campidano, Cagliaritano e Barbagia.
Oltre al periodo natalizio il torrone fa bella mostra di sé in tutte le sagre autunnali e invernali. La
forma, a parallelepipedo, varia secondo le pezzature, vi sono grandi pezzi, sino a 10-15 kg, venduti
a pezzi poi nelle sagre, e torroni da 500 g, solitamente in astucci di cartone, venduti nei negozi di
dolciumi, sino alle barrette e ai torroncini da pochi grammi.
La preparazione è tradizionalissima. In una capiente pentola di rame si fa sciogliere a fuoco lento il
miele e una volta sciolto si aggiunge l’albume d’uovo, continuando a rimescolare con una pala di
legno di castagno. Quando la consistenza è ottimale si aggiunge la frutta secca tostata, mandorle o
nocciole, mentre le noci non necessitano tostatura. A piacere il torrone può essere aromatizzato
con vaniglia o scorza di limone grattugiata. Una volta cotto il torrone viene estratto dalla pentola,
steso uniformemente in teglie o cassette di legno già rivestite della caratteristica carta pergamena
(detta anche ostia) da ogni lato e lasciato raffreddare.
Il primo documento sardo sul torrone risale al Seicento ma è probabile che questo squisito dolce,
di origine iberica, sia stato portato sull’Isola sin dal Medioevo.
Il torrone si consuma a tocchetti, a fine pasto, insieme ad un buon bicchiere di Passito o di
spumante italiano. Sbriciolato può essere aggiunto a preparazioni al cucchiaio come creme, budini,
pudding per dare una spinta al gusto e quella consistenza “crunchy”, croccante e sgranocchiabile
che è un caposaldo della pasticceria moderna.

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Intervista chef

Maria Carta è una chef che da sempre valorizza i prodotti della sua Barbagia e in particolare di
Seulo, borgo natio, che è anche uno dei paesi dove si vive più a lungo in salute, e perciò fa parte, a
ragione, della cosiddetta Blue Zone sarda, una delle cinque microregioni mondiali dove la
longevità non è miraggio ma realtà.
Con il suo locale Is Femminas, omaggia i saperi femminili di famiglia innanzitutto e poi anche delle
donne sarde; Maria Carta ha portato le ricette della blue zone nel cuore di Cagliari, nel quartiere
più ricco di movida, la Marina, in Via Napoli, dove recentemente ha inaugurato un secondo locale-
bottega con aperitivi veloci e sfiziosità da passeggio, sempre improntate alla cucina blue zone.

Le chiediamo qual è la sua filosofia in cucina:
“Credo molto nell’uso della materia prima del territorio, nella poca trasformazione della materia
prima, la materia va rispettata. Questa è la base della mia cucina. Nella ristorazione sarda si sta
crescendo e si sta cambiando. Non c’è più solo cucina tradizionale, c’è una ricerca come quella
portata avanti da alcuni chef e colleghe, cito ad esempio Davide Atzeni di Coxinendi a Sanluri,
nomino i Sarti del gusto, che sanno valorizzare la cucina sarda in maniera contemporanea”.

Quali sono i tuoi prodotti preferiti?
“I prodotti che prediligo sono sia di mare sia di terra, come la cacciagione, la carne di capra, le
verdure, i legumi, tutto quello che mi riporta alla terra. Non ho un piatto forte specifico nel mio
menu, lavoro tante cose in modo creativo, ad esempio nel mio menu invernale ora trovi la Fregula
con caglio di capretto e bottarga di muggine. Un accostamento forte, molto piacevole, che piace
molto ai clienti”.

E come piatti di Seulo cosa indicheresti?
“Sicuramente in inverno a Seulo, che è un paesino di montagna, sono tipici la Minestra di patate e
casu ‘e murgia, molto saporita, o l’agnello arrosto o anche l’Agnello in umido con patate e carciofi,
con il nostro carciofo spinoso sardo che è tipico di questa stagione, così come l’agnello,
immancabile a gennaio, e le patate sarde di montagna, che nel mio borgo e in quelli vicini vengono
coltivate negli orti e sono particolarmente gustose.

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passito

Il passito è un vino aromatico, ideale per i brindisi delle feste natalizie, ma anche come vino da
meditazione di fine pasto o per accompagnare i formaggi della tradizione sarda.
Come si prepara? È un vino che viene vinificato normalmente ma le uve, prima di essere vinificate,
vengono sottoposte per un periodo di tempo più o meno lungo ad appassimento, cioè a una
riduzione o eliminazione dell’acqua presente negli acini.
Lo scopo del procedimento è quello di assoggettare l’uva a sovra-maturazione per permettere la
concentrazione negli acini di numerosi composti, quali zuccheri, acidi organici, sali minerali e
profumi. I vini che si ottengono tramite questo processo sono detti “passiti” e sono solitamente
caratterizzati da un importante contenuto alcolico e da un residuo zuccherino più elevato.
In Sardegna vengono prodotti diversi passiti, alcuni dei quali davvero eccellenti.
Si consiglia di abbinarli sia con la classica pasticceria sarda a base di mandorle sia con formaggi
stagionati, per un pairing non scontato e intrigante.

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