Elementor #1353

by Stefano Pedron

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Qual è la tua formazione e come sei arrivata a questo livello?

Premetto che non vengo da una famiglia di pizzaioli. Ho avuto tante “vite lavorative”, con scelte fatte in
base ai luoghi dove ho vissuto, alle esigenze familiari, parlo di studi di commercialisti, agenzie di
intermediazione… Qualsiasi cosa facessi avevo l’obiettivo di fare la differenza e lavorare bene. Ad un certo
punto l’arte bianca ha scelto me, si può dire. Era un periodo particolare della mia vita, dovevo per
l’ennesima volta reinventarmi e trovare la forza di ricominciare. Ho fatto la gavetta in una pizzeria dove ho
avuto la fortuna di incontrare persone generose che mi hanno insegnato tutto: dalla gestione di una
pizzeria alle tecniche di impasto; mi piaceva così tanto che ho investito sulla formazione, studiando con
alcuni dei maestri italiani dell’arte Bianca fino agli studi Universitari in Tecnologie Alimentari.
Il mio scopo principale è di fare la differenza in un settore prettamente maschile e molto settorializzato.

Hai avuto difficoltà?

Una donna -soprattutto in questo settore- deve dimostrare non il doppio ma il triplo della bravura, ma la
mia prerogativa è navigare con sicurezza nel mare in tempesta, procedo senza farmi fuorviare per
raggiungere gli obiettivi, lasciando un ampio terreno dedicato al confronto costruttivo… guardando sempre
il mio lavoro come mio unico faro. Questo mi ha portato ad avere la fiducia e la stima di maestri, colleghi e
l’affetto della gente che mi conosce bene.

Difficoltà ampiamente superate oggi, vero?

Al giorno d’oggi porto avanti una figura di pizza chef atipica, in grado di uscire dal banco e valorizzare il mio
lavoro; mi muovo dalle tecniche d’impasto alla promozione del mio prodotto attraverso un marketing da
me curato e promosso.
L’ultimo anno è stato entusiasmante: ho avuto un riconoscimento importante da parte
dell’Amministrazione di Cagliari quale ambasciatrice del made Sardegna nel mondo, con la motivazione che
promuovo in ogni mia gara l’unicità dei prodotti del territorio sardo adattandoli in modo innovativo e
rendendoli così “aperti” a tutto il mondo.
Ho partecipato a gare importanti quali il primo Trofeo organizzato da Msc Crociere a marzo 2022, che ha
visto competere i più bravi pizzaioli nazionali; qui sono arrivata terza, unica donna ad essersi piazzata. Ho
partecipato al Campionato mondiale a Squadre a Palermo, con il Team Cagliari da me formato con la
partecipazione di Giuseppe Viola e Marco Mulas, conseguendo il secondo posto al Mondiale, unica donna.
Unico e resterà unico il Trofeo memorial Rodolfo Sorbillo, contest internazionale in onore del padre della
pizza nel Mondo organizzato dal grande maestro e figlio di Rodolfo, Luciano Sorbillo, a Villa Imperiale a
Napoli, dove si sono sfidati i più importanti pizza chef per l’ambito Trofeo.
Ho vinto il Trofeo partecipando a tutte le cinque categorie in gara, unica donna cagliaritana pizza chef,
portando così a Cagliari un premio che è simbolo della pizza riconosciuta nel mondo.
Ho portato i sapori della Sardegna, ancora una volta, con la voglia di rappresentare al meglio quest’Isola,
ma con umiltà e a fianco a Napoli che è davvero il regno della pizza.
Nelle mie pizze i topping sono ricchi di formaggi sardi, dal sapore forte come il pecorino stagionato al primo
sale, delicato. Inserisco i prodotti tipici sardi come i culurgiones, la bottarga, i pomodorini, il tonno di
Carloforte, i profumi delle nostre erbe aromatiche: mirto, alloro, salvia, borragine eccetera.

Ecco come nascono le tue pizze, creazioni uniche che parlano di te?

Firmo tutti gli impasti che faccio, sono loro la mia caratteristica, la mia peculiarità, e dove faccio la
differenza; il topping è sempre uno studio imprescindibile insieme allo chef; cerco la semplicità che
permette di esaltare la qualità dell’impasto, che si affina attraverso la sperimentazione continua e costante.
Credo nel connubio tra i due settori, cucina e arte bianca, insieme sono vincenti.

Progetti futuri?

Tanti. Occuparmi di formazione innanzitutto: mi piacerebbe formare delle squadre di lavoro a cui
trasmettere ciò che ho imparato e che studio tuttora; sono una donna che riporta sempre la barca in porto,
determinata, e che fa della programmazione/progettazione e della qualità gli obiettivi del proprio lavoro.
Sono valori che si possono trasmettere e mi piacerebbe poterlo fare ancora di più.

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malloreddus

Si fa presto a dire “gnocchetti sardi”! I nomi degli gnocchetti tipici della Sardegna, una sorta di conchiglia
rigata sono davvero tanti, secondo l’areale. Inoltre ne esistono più corti, più lunghi, più sottili, più larghi, c’è
chi li aromatizza con lo zafferano, ad esempio. Gli ingredienti sono semola, acqua e un pizzico di sale.
Un tempo questa pasta era un piatto domenicale, in accompagnamento a carne: di pollo, di maiale, sotto
forma di salsiccia, più raramente di manzo.
Nel sud Sardegna prevale la parola malloreddus ossia ‘piccolo toro, vitello’. Al centro ovest e centro est,
secondo le località, macarrones de ungra, maccarrones de poddighe, maccarrones cravaos, o maccarrones
de bocciu o maccarrones de punzu; tutte le nomenclature richiamano la grandezza del prodotto o il modo
di farlo, trascinando il tocchetto di pasta su di un piano rigato di varia fattura con il pollice o l’indice o indice
e pollice insieme. Infine si chiamano ciggioni nel sassarese, chiusoni o chjusoni in Gallura. E stiamo citando
solo i nomi più conosciuti.
La preparazione è la seguente: si fanno dei bastoncini lunghi e sottili, si tagliano a tocchetti e si schiacciano
con il movimento del pollice su di un setaccio o grattugia o rigagnocchi in legno.
Il nostro Nobel per la Letteratura Grazia Deledda descrive perfettamente nel romanzo La fuga in Egitto la
tecnica degli gnocchetti sardi fatti in casa: «Tagliò una fetta della pasta e arrotolandola e tirandola la
ridusse a una lunga biscia bianca che il coltello si affrettò a tagliare in piccoli pezzi come si trattasse davvero
di una bestia pericolosa. Poi i piccoli pezzi scavati con l’indice come lunghe conchiglie formarono gli
gnocchi: il loro esercito ben schierato sull’ asse e ricoperto dalla tenda di una salvietta».
In altre zone dell’Isola i malloreddus si condiscono con pecorino ed erbe come variante del sugo al
pomodoro. I malloreddus alla nuorese si condiscono con pomodori secchi (pilarda/pibarda in sardo)
aromatizzati con cipolle rosolate nello strutto e basilico e pecorino o in bianco, con un condimento a base
di strutto fuso e pecorino. I malloreddus alla cagliaritana come si è accennato si condiscono con sugo di
pollo (caboniscu) o con salsiccia, similmente ai malloreddus alla campidanese, dove il ragù con la salsiccia
sarda condisce i malloreddus, su cui poi si grattugia abbondante pecorino sardo.

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caschettas

Le caschettas sono dolci sardi, squisite ed antiche. Citate già in un Dizionario sardo dell’Ottocento, nel 1931
vengono notate dagli autori della Guida Gastronomica d’Italia che le definisce così: “Caschettas. Dolci di
varie forme, fatti con mandorle triturate e cotte con lo zucchero, rivestiti di una cappa di zucchero”.
Essendo un Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) esiste una scheda ben precisa. Viene considerato
un suo sinonimo il dolce denominato tilicca o tiricca (probabilmente dallo spagnolo seicentesco tirica, che
significa fascia o striscia di panno lino). Questo dolce fine di pasticceria sarda è principalmente diffuso nella
Sardegna centro-settentrionale. È formato da sfoglie di pasta “violata” (ossia un impasto di farina con un
po’ di strutto) ripiene di miele, zafferano e mandorle, naturalmente con alcune varianti di forma e ripieno.
Si preparano per matrimoni, qualcuno li chiama “dolci della sposa”, battesimi e importanti feste invernali,
dedicate al patrono di questo o quel borgo. Si consumano anche a Natale.
La ricetta originale prevede tra gli ingredienti per la pasta: 1 kg farina 00, 150 g di strutto, 100 g di zucchero.
Per il ripieno: zafferano un pizzico o alcuni stimmi q.b., 1 kg di mandorle, 550 g di miele, 1 scorza di limone,
1 scorza d’arancia e un cucchiaio di zucchero.
Il segreto sta nel preparare delle sfoglie di pasta fini, che impreziosiscono il dolce, mentre il ripieno cuoce
sul fuoco. Si preparano delle strisce di pasta che vengono riempiti con il ripieno freddo, fatto a cordone
sottile. Poi si inforna a bassa temperatura, controllando di tanto in tanto, la pasta deve rimanere chiara.
Le famose caschettas o caschettes di Belvì (NU) si distinguono per la presenza di nocciole, una specialità
locale, nella farcia.

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aranzada

S’aranzada è un prezioso candito di scorza d’arancia, che in Sardegna è un dolce davvero caratteristico e
tipico.
Pasticcino delicato e raffinato, è composto da scorza di arancia candita, scagliette o mandorle intere,
secondo il paese e la ricetta, nonpariglia colorata, in sardo traggea (dal francese dragée).
De s’aranzada ne scrive anche la scrittrice premio Nobel per la Letteratura Grazia Deledda, ad esempio nel
romanzo Cenere (1903): «Rientrato a casa Anania riferì ogni cosa a zia Tatàna, mentre la donna, seduta
davanti a un braciere, preparava un dolce di scorze d’arancio, mandorle e miele, da portare in regalo ad un
importante personaggio cagliaritano».
La ricetta prevede alcune varianti, nella preparazione delle bucce, nella cottura, negli ingredienti (con la
presenza o meno dello zucchero) e nella forma.
La ricetta dell’aranzada prevede di sbucciare le mandorle (100 g circa già sbucciate), tagliarle a fili sottili o
lasciarle intere, a piacere, e farle tostare brevemente in forno. Nel frattempo si pesano le bucce d’arancia
non trattata, circa 300 g e si mette da parte l’equivalente del peso in miele. Le bucce vanno pulite togliendo
l’albedo, lasciandole a bagno e cambiando l’acqua più volte, per alcuni giorni.
Si versano le bucce in un tegame con un dito di miele sul fondo e si aggiunge lentamente il restante miele
portandolo ad ebollizione a fuoco moderato fino al completo assorbimento. A fine cottura si aggiungono le
mandorle facendole amalgamare con le bucce candite. Si versa il composto in una teglia e si stende in
modo uniforme; si taglia a losanghe e si posizione su foglie di limone o d’arancio o in pirottini di carta.

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Casu Marzu

Il formaggio con i vermi sardo è apprezzato e richiesto dai consumatori, sottobanco si intende, visto che il
consumo è illegale. Il nome in lingua sarda casu marzu in italiano significa formaggio marcio.
Il casu marzu è un formaggio ovino (meno spesso vaccino) intaccato dalla mosca del formaggio (Piophila
casei) che deposita le proprie uova nella pasta. Le uova si schiudono entro trentasei-quarantotto ore dalla
deposizione e le larve raggiungono il loro sviluppo in circa otto giorni, mentre sono necessarie più di due
settimane perché le larve diventino pupe e poi insetti adulti. La durata del ciclo vitale dipende dalle
condizioni ambientali: una temperatura 20-22°C è ideale per lo sviluppo delle larve. Le mosche sono
detritivore e si nutrono di materia in decomposizione. Le larve si muovono con caratteristici movimenti
saltatori e penetrano nel formaggio per mezzo degli enzimi presenti nella saliva, provocando la digestione
della pasta caseosa, che diventa così cremosa e piccante.
È la presenza di queste larvette nel formaggio a suscitare interesse, meraviglia o anche disgusto in chi si
avvicina per la prima volta a questo formaggio.
Il momento giusto per gustare il “formaggio con i vermi” è quando le larve sono piccole e attive e il
formaggio emana sentori di formaggio stravecchio misto ad un bouquet di spezie piccanti, profumi che
vengono confermati all’assaggio. Con il passare dei giorni il processo di proteolisi va avanti, le larvette
diventano pupe e a quel punto il cacio emana odore di ammoniaca ed è semiliquido: non più commestibile,
va gettato via.
La degustazione quindi, almeno per le prime volte, va effettuata in compagnia di un esperto, che conosce il
grado di giusta maturazione del prodotto a naso e a vista.
Un buon casu marzu può arrivare a costare anche quaranta euro al kg, chiaramente comprato direttamente
nello spaccio di un pastore casaro di fiducia.
Si può dire in conclusione che il casu fràzigu, altro nome sardo del formaggio con i vermi, sia il formaggio
sardo più noto al mondo, sebbene la vendita sia ufficialmente vietata, pur essendo anche uno dei Prodotti
Agroalimentari Tradizionali sardi riconosciuti dal MIPAAF.

Immagine di Shardan – opera propria, cc by-sa 2.5

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Halloween 2022

Mortu mortu, su Prugadoriu, is animeddas: sono solo alcuni dei nomi con cui si chiama la magica notte
dell’ultimo giorno di ottobre, la vigilia di Ognissanti, quando in Europa, da sempre, si festeggia il “ritorno”
dei morti dall’aldilà con offerte di cibo, rituali, danze sfrenate, carnevalate… La popolare festa di Halloween
americana non è altro che la attuale spettacolarizzazione di ancestrali miti e riti pagani, che insieme ai padri
pellegrini nord europei varcarono l’oceano Atlantico, approdando in nord America.
Detto questo: cosa si mangia per Halloween in Sardegna? Un tempo i bambini facevano collette, di casa in
casa, raccogliendo frutta secca, agrumi, mele, qualche piccolo dolce. Nelle case si consumava un ricco pasto
e un piatto di pasta si lasciava sul tavolo per i propri morti, nel caso fossero passati a “visitare” la famiglia.
Molte erano le superstizioni che circondavano questa festa per cui i morti erano ricordati a volte con
nostalgia a volte con timore. Bisognava propiziarseli, non farli inquietare, superando così la notte più
magica dell’intero anno, quella in cui il ‘varco’ tra il mondo dei vivi e quello dei defunti era aperto e tutto
poteva, in teoria, succedere.
Tra i dolci di questo periodo spiccano quelli con sapa di uva cotta, la famosa saba, con cui si realizzano dolci
profumati
e aromatici, come pabassinos, pan’e saba eccetera. Si mangiano inoltre tutte le paste ripiene, dai
culurgiones di patate dell’Ogliastra ai ravioli di formaggio e bietole e via discorrendo. Il giorno di Ognissanti
un ricco piatto di carne troneggiava sulla tavola riccamente imbandita. Non mancava la frutta secca, come
fichi e uva passa, noci, nocciole e naturalmente mandorle. Era un anticipo delle feste natalizie, un momento
di festa ma anche di mesto ricordo dei propri cari defunti.

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intervista chef

Fabio Nurra sei uno chef importante, punto di riferimento ineludibile nel nord Sardegna. Recentemente
hai ampliato le tue esperienze lavorative e professionali, vuoi spiegare ai nostri lettori dove e come?

Non ho mai amato definirmi Chef, perché’ è piuttosto la figura dell’oste la mia vera anima professionale,
nella quale l’accoglienza, l’atmosfera e la proposta gastronomica devono necessariamente viaggiare
all’unisono.
Sono un oste che cucina, una cucina autodidatta che nel tempo si è evoluta, spinta dalla curiosità nel
scoprire nuove cose e nel riscoprire cose vecchie, rinnovandole in chiave contemporanea.
Di sicuro devo molto ai miei studi in architettura per avermi fornito degli strumenti mentali che utilizzo
spesso nella creazione dei piatti. Nella progettazione architettonica si utilizzano i materiali, in cucina gli
ingredienti, ma in fase di composizione di un piatto mi servo di alcuni degli stessi criteri, ovvero
cromatismo, tridimensionalità, texture ecc..
Negli anni ho avuto la possibilità di fare delle belle esperienze lavorative, partendo da Sassari, dove ho
gestito il mio ristorante per 10 anni e da dove tutto è partito. Ora mi sto dedicando a nuove iniziative che
mi hanno portato questa estate a Porto Ottiolu, un luogo magnifico in cui gestisco il ristorante “Piccolo”
all’interno dell’omonimo boutique hotel, una location ricca di charme, che mi ha regalato forti emozioni,
frequentata da numerosi personaggi importanti e ospiti illustri.
Nel ristorante è presente una terrazza prive’, con un unico tavolo, per un massimo di 10 ospiti, denominata
terrazza Rosenthal-Sambonet, dove per la prima volta al mondo, la fabbrica di porcellane icona del lusso
mondiale ha deciso di associare il proprio marchio alla cucina di uno Chef che ha scelto le loro più eleganti
mise en place.
Per l’autunno ci sono nuovi progetti che mi porteranno probabilmente fuori dall’isola, in cui avrò la
possibilità di promuovere la nostra cucina e i nostri prodotti dando loro una nuova veste e mescolandoli
con prodotti provenienti da altre culture.

Regaleresti una tua ricetta autunnale ai lettori del magazine Imprentas?

Eccola, vi propongo “Tataky di Ricciola e giardino d’inverno”
La ricetta per 4 persone prevede come ingredienti:
800 g di Ricciola sfilettata
200 g di cicoria
200 g di cavolo cappuccio viola
1 pianta di broccolo
1 pianta di cavolo romanesco 
Olio evo
Sale e pepe q.b.
Ecco la preparazione: scottare il filetto di Ricciola esternamente su una piastra antiaderente ben calda,
lasciando il cuore semi crudo. Sbollentare la cicoria per poi passarla in padella rosolata con appena di aglio,
olio e peperoncino.  Sbollentare il broccolo e non appena cotto emulsionarlo con olio, sale e pepe. 
Cuocere in forno a 180 gradi per circa 10 minuti le cime del cavolo romanesco e poi condirle con olio, sale e
pepe.  Tagliare finemente il cavolo viola ed unire insieme agli altri elementi creando un’insalatina cruda e
cotta. Disporla su un piatto affiancando le fette di Ricciola scottata adagiate sulla crema di broccoli. 
Salare e pepare a piacimento e concludere con un filo di olio buono.

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Isola dei nuraghi

La denominazione “Isola dei Nuraghi” IGT rappresenta una delle più importanti aree vitivinicole
della regione Sardegna. La denominazione Isola dei Nuraghi IGT (Indicazione Geografica Tipica)
comprende infatti tutte le province sarde ed è stata creata nel 1995. L’Indicazione Geografica
Tipica “Isola dei Nuraghi” è riservata ai mosti ed ai vini delle seguenti tipologie:

  • “Isola dei Nuraghi” bianco, anche nelle tipologie frizzante, spumante, da uve stramature, passito;
  • “Isola dei Nuraghi” rosso, anche nelle tipologie frizzante, spumante, novello, da uve stramature,
    passito;
  • “Isola dei Nuraghi” rosato, anche nelle tipologie frizzante e spumante.
    Sotto il cappello “Isola dei Nuraghi” ricadono molti celebri vini sardi rossi, ad esempio come il
    Turriga delle Cantine Argiolas, loro prodotto di punta, derivato da uve Cannonau all’85%,
    Carignano al 5%, Bovale al 5%, Malvasia Nera al 5%, che trascorre 18/24 mesi in barrique di rovere
    francese.
    E ancora il vino Cagnulari Isola dei Nuraghi IGT di cantine Chessa, che nasce dall’omonimo vitigno
    locale, coltivato in pochi vigneti, dislocati nel nord ovest della Sardegna, un vino rosso squisito e di
    gran carattere.
    Da ultimo il vino rosso Barrua dell’azienda sulcitana Agripunica da uve Carignano all’85%, Cabernet
    Sauvignon al 10% e Merlot al 5%.
    Tra i vini bianchi, bisognerebbe menzionarne molti, citiamo almeno il vino Karmis Isola dei Nuraghi
    IGT delle cantine Contini, un blend di Vernaccia di Oristano al 70% e Vermentino al 30% e il
    Capichera dell’azienda Capichera del nord Sardegna, 100% Vermentino.
    Tra i vini da uve stramature va citato almeno l’Angialis, ottimo con i dolci della tradizione sarda a
    base di mandorle, da uve Nasco al 95%, con 5% di Malvasia Bianca.
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polpo arrosto

Il polpo arrosto è una preparazione solo in apparenza semplice, perché le ricette più aggiornate
prevedono una doppia cottura, prima bollito per ammorbidirlo bene e poi scottato alla piastra per
la deliziosa crosticina.
Altrettanto famoso è il polpo con le patate, tipico di tante regioni che si affacciano sul mare,
Sardegna inclusa. Il polpo con le patate è un piatto identitario sardo, tipico di Cagliari, Carloforte,
Calasetta, Alghero e altre località costiere dell’isola.
Per quattro persone occorre un polpo intero da 1 kg, mezzo chilo di patate, vino o aceto di vino
rosso, aglio peperoncino e sale q.b.
Il polpo, già fatto a pezzetti, si fa soffriggere velocemente, poi si aggiunge nel tegame un po’ di
aceto di vino rosso, per sfumare, aggiungendo aglio e peperoncino, e si rimescola per cuocerlo
uniformemente. Quando, facendo una prova con una forchetta, questa penetra nella carne dei
pezzetti di polpo allora si aggiungono le patate tagliate a dadini con l’aggiunta di un po’ di acqua o
brodo vegetale. Quando la cottura è quasi ultimata si saggia la cottura di polpo e patate, si
aggiungono le olive, il prezzemolo, due foglie di alloro ed è pronto per essere servito a tavola.
Le migliori verdure da abbinare al polpo sono le patate, i pomodori secchi, le olive oltre a legumi
come ceci e piselli finissimi. L’insalata di polpo alla sarda prevede che il polpo lesso venga poi
condito con olio, aceto, sale, olive nere e verdi, verdurine come carote, sedano e cipolla rossa
tagliate finemente. Si serve freddo come antipasto, abbinato a vini bianchi o rosati o a bollicine
sarde.

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Vino Buio

Buio è un vino DOC da uve Carignano, un vitigno che viene coltivato esclusivamente nel Sulcis,
territorio a sud ovest dell’isola di Sardegna, dove esprime tutti i profumi e i sapori del terroir, a
ridosso dello splendido mare che bagna le cittadine balneari di Pula, Calasetta, Sant’Antioco e
Carloforte.
Buio è un vino di colore rosso rubino scuro ma luminoso, ha sentori di frutta matura che ricordano
il melograno, con note di geranio e pepe nero. In bocca è determinato e saporito, lascia il segno.
Si accompagna sia alle carni, alla brace o stracotte, sia al pesce, specie il tonno, caratteristico del
Sulcis, sia ai formaggi stagionati, ovi-caprini e vaccini. La cantina, Mesa, che in sardo vuol dire
“tavola”, è stata fondata nel 2004 dal pubblicitario Gavino Sanna, che ha ideato e dato nome ai
propri vini. Le etichette e le bottiglie infatti sono molto eleganti e fuori del comune.

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