Elementor #1353

by Stefano Pedron

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Cantina Santadi

La Cantina di Santadi è ubicata nel Sulcis, nella parte sud-occidentale della Sardegna, a pochi
chilometri dalle splendide spiagge e dune di Porto Pino. Nata nel 1960, superate le difficoltà dei
primi anni con l’arrivo di un nuovo gruppo dirigente, l’azienda ha intrapreso la via dello sviluppo e
della vitivinicoltura d’eccellenza.
La Cantina di Santadi era nata nel 1960 per volontà di un gruppo di produttori di uva, coordinati
dall’ETFAS, con l’intento di trasformare le uve in forma associata e vendere il vino ottenuto.
L’ubicazione è a Santadi, nel cuore del Sulcis. Sino agli anni ’80 l’attività era limitata alla
produzione e vendita di vino sfuso, con timide iniziative di vendita di vino imbottigliato. Quando
viene chiamato, in qualità di consulente, l’enologo di fama internazionale Giacomo Tachis, questo
prende a cuore le sorti della Cantina Santadi, si affeziona al territorio, e con il suo intervento i vini
della Cantina di Santadi fanno un salto di qualità, tanto da essere immediatamente accettati nei
mercati più importanti, con riconoscimenti di grande qualità e forte identità.
Da allora ad oggi è stato un continuo crescendo: il marchio dei vini Santadi è sempre più diffuso ed
apprezzato in tutto il mondo, il cui successo è sicuramente dovuto alla tutta la squadra: produttori,
amministratori, commerciali, collaboratori e maestranze, che rappresentano per il territorio un
patrimonio di grandi professionalità.
Nasce così la prima bottiglia di Terre Brune (annata 1984), primo vino rosso barricato in Sardegna,
che viene accolto dal mercato con grande entusiasmo e ancora oggi è il vino simbolo della Cantina
Santadi.
Negli anni vengono fatti importanti investimenti, come la sala barriques, il reparto vinificazione,
senza mai dimenticare il rispetto e la tutela dell’ambiente. Oggi la cantina include un impianto
fotovoltaico e un moderno depuratore.

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carne di pecora

La carne della pecora adulta, ricca di proteine e ferro, ha un sapore e un odore che ricordano
quelli della carne di agnello, contraddistinta da una maggiore intensità e robustezza. Le proprietà
nutrizionali e organolettiche cambiano a seconda dell’età dell’animale. In Sardegna essendo le
pecore allevate allo stato semibrado producono carni sane e ricche di nutrienti, ideali per una
cucina salutare e gustosa.
La carne di pecora sarda si presta a tutte le principali preparazioni, sia tradizionali sia moderne.
Ormai è facile vedere hamburger di pecora sarda, gustosissimi, nei ristoranti e hamburgerie più
alla moda della Sardegna.
Per un consumo tradizionale si può fare arrosto, in padella, in umido, bollita. Quest’ultima
preparazione, detta “pecora in cappotto” vuole nel brodo patate e cipolle intere, che poi andranno
consumate insieme alla carne stessa. In umido si può cuocere con cardi, carciofi, piselli, patate e
patate dolci. Si può fare a spezzatino con salsa di pomodoro o in bianco, secondo il gusto.
Si abbina ad un calice di vino rosso corposo e robusto, come il Cannonau, il vino Cagnulari oppure
con del Carignano o del vino Monica secondo i gusti.

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A Natale e a Santo Stefano i primi piatti possono variare, possiamo proporre ai nostri ospiti dai
ravioli nostrani al risotto allo zafferano sardo, sino alla pasta al forno, ma per secondo piatto ci
vuole una carne sarda, possibilmente di capretto, così tenera e gustosa, cucinata in umido, in
padella o arrosto, come è tradizione da sempre.
Il capretto sardo è una delle carni più sane e squisite sul mercato, pascola allo stato semibrado ed
è nutrito in modo naturale. Per arrostirlo si mette in graticola o se il pezzo è consistente allo
spiedo, facendo cuocere la carne lentamente. In umido si accompagna ai carciofi o alle patate, ai
cardi, al pomodoro secco, e ugualmente vuole una cottura lenta e sapiente. La fretta è nemica di
questa carne. In alternativa si può fare “inbinada” ossia messa a macerare in vino rosso, come
Cannonau o Monica, per almeno 12 ore, con spezie come chiodi di garofano e qualche foglia di
alloro. La carne si mette in padella e si sfuma con altro vino, cotta con cipolle rosse sulcitane o
della Marmilla, sale e pepe quanto basta.
O ancora la carne di capretto si cuoce a piccoli tocchi in padella, facendola stufare con il
coperchio, su di un letto di trito di aglio, cipolla, pomodoro secco, peperoncino e olio evo sardo.
Una volta cotta si può accompagnare con le creme di verdure Imprentas e patate al vapore.

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intervista del mese

Fresco di un prestigioso riconoscimento, il “Premio Mesa” 2022, ideato dal pubblicitario Gavino
Sanna, Davide Atzeni ha aperto da pochi anni il suo locale in quel di Sanluri, nel cuore della
Marmilla; il ristorante Coxinendi ha già le vetrofanie delle maggiori Guide gastronomiche nazionali,
oltre che essersi fatto notare dalla stampa specializzata.


Davide ci racconti il tuo percorso lavorativo? Può essere di ispirazione a tanti giovanissimi che si
affacciano al mestiere.

Il mio percorso inizia in Sardegna, con un corso professionale di due anni, poi sono partito per
Como, dove ho avuto una bella base di cucina tradizionale, ho lavorato la pasta fresca, i porcini, la
carne di capriolo per dire, poi sono partito per Parigi, dove ho lavorato alcuni anni in diverse
attività ristorative, dalle classiche brasserie ai ristoranti stellati, facendo molta esperienza.
Dopo 10 anni fuori sono tornato in Sardegna, era il 2016, ho lavorato a Pula tre anni, poi con la mia
compagna, Sara, abbiamo pensato di creare un nostro concetto ed è nato il ristorante Coxinendi in
quel di Sanluri, in piena armonia di vedute e di intenti.
Abbiamo scelto Sanluri perché ci consente di sviluppare la nostra filosofia. Sanluri non è città ma
una bella cittadina, ben collegata con la principale arteria dell’Isola a Cagliari, quaranta minuti di
macchina, ma anche ben collegata ad Oristano, e poi sempre tramite la SS131 anche a Nuoro e
Sassari.
Mission e vision della tua attività, so che hai da raccontare.
Guarda, abbiamo cercato di portare una forte impronta di professionalità in un territorio un po’
depresso, per creare una rete con produttori di vario genere, dagli artigiani agli agricoltori. La
mission principale è diventare un punto di riferimento nel nostro territorio, per la comunità locale.
L’ideale, turisticamente parlando, è avere vari punti di interesse, che in effetti a Sanluri ci sono, dal
Museo del pane al Castello, al sito archeologico di Mont’e Prama con il Museo archeologico di
Cabras; la vision è diventare parte integrante delle esperienze turistiche e culturali che si possono
fare intorno al nostro ristorante, vogliamo essere un nodo della rete insomma.
Qual è la tua filosofia di cucina?
La mia filosofia, al di là di prodotti e tecniche è la seguente: ci vogliono i contenuti. Quali?
Personale ben formato, che ha manualità, sa fare le cose, che vive bene, che non è chiuso in
cucina o sala tutto il giorno. Tre parole chiave potrebbero essere: Benessere, preparazione,
formazione.
E ci vuole ricambio generazionale, perché i ristoratori grintosi di oggi domani saranno stanchi. E il
patrimonio accumulato, di saperi, tecniche, competenze potrebbe andare perso. Quindi ci vuole
ricambio generazionale, ma per farlo bisogna creare le condizioni perché i giovani raccolgano il
testimone.
La tua ricetta per Natale ce la dai?
Spegnere la TV, arrostire un agnellino, servire anche delle belle verdure sul tavolo in pinzimonio,
noci, possibilmente barbaricine, prosciutto di Ploaghe… è essenziale stare insieme, questa è la
ricetta della felicità per le feste natalizie. Auguri a tutti i lettori e le lettrici del magazine Imprentas!

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Prosciutto di pecora

Il prosciutto di pecora (sardo Presuttu ‘e brebei) è un salume stagionato tipico della Sardegna,
dove i violini di pecora sono una leccornia che si consuma nelle occasioni festive. È talmente
rinomato e tradizionale che il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha voluto
inserire il prosciutto di pecora nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione
Sardegna (PAT).
Ha un profumo intrigante e un sapore dolce e intenso. Si ottiene dalle cosce delle migliori pecore
di razza sarda. La coscia viene disossata, speziata e salata e messa a stagionare in ambiente fresco
e asciutto per alcuni mesi. Il procedimento è simile a quello della preparazione del prosciutto
crudo suino.
La forma è allungata, a pera, per una lunghezza di circa 50 cm. Il colore è marrone scuro sulla
superficie e rosso bruno intenso sulla carne; il peso varia a fine stagionatura fra 1.5 e 2 kg. Il
profumo ricorda il formaggio pecorino. È un prosciutto dal sapore dolce, particolarmente
gradevole al palato. Viene consumato dopo circa sei mesi dalla maturazione
ma, qualora lo si preferisca più morbido, può essere consumato dopo quattro mesi circa.
Si consuma come antipasto, insieme a pane carasau o pane sardo con mollica, verdure sott’olio,
olio evo, carciofini sott’olio o sottaceto, formaggio, accompagnato da vino rosso corposo.

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Pancetta tesa

La pancetta tesa è una tipologia di pancetta che prende il nome dal fatto che il pezzo di
carne da cui viene ricavata, cioè la parte magra della pancia del maiale, ben salata e
aromatizzata, viene fatta stagionare nella sua forma originaria, a differenza della pancetta
classica che ha una forma tondeggiante.
La pancetta tesa ha infatti una forma rettangolare, e si scioglie in bocca grazie alla
sapiente combinazione di carne rossa suina e grasso nobile della parte ventrale magra del
maiale, dal sapore saporito ma fine e delicato.
La carbonara con pancetta tesa è una ricetta facile e veloce. La nostra versione prevede
la cottura della pasta al dente; nel frattempo la pancetta, tagliata a cubetti, viene fatta
passare in una capiente padella qualche minuto. A parte si prepara una cremina con tanti
tuorli d’uovo quanti sono i commensali uniti ad abbondante pecorino sardo o romano, 50%
e 50%, e una macinata di sale e pepe.
Cotta e scolata la pasta si passa nella padella dove aveva cotto la pancetta, si aggiunge la
cremina d’uovo e formaggio e a fuoco spento si ripassa tutto insieme, aggiungendo da
ultimo la pancetta.
Le uova ovviamente devono essere freschissime.
Questa carbonara con ingredienti sardi vi piacerà tantissimo.

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Monica di Sardegna

Vitigno a bacca rossa, comune nel Campidano, dove costituisce il vino da pasto per
eccellenza dei sardi. È un vitigno antico, che la tradizione vuole proveniente dai monaci
camaldolesi che fondarono una serie di monasteri in Sardegna, 1000 anni fa. In alcune
fonti storiche lo troviamo scritto infatti come “monaca”. Un’altra teoria conferisce l’origine al
periodo della dominazione spagnola, dato che il vitigno viene chiamato in talune zone
“Monica di Spagna” o “Uva Mora”. Attualmente è coltivato in tutta l’Isola su di una
superficie di circa 3000 ettari.
Come tipologie e caratteristiche del vino DOC troviamo:

  1. Monica di Sardegna
  • colore: rosso rubino, tendente all’amaranto con l’invecchiamento;
  • titolo alcolometrico volumico minimo: effettivo 11%, naturale 10,5 %.
  1. Monica di Sardegna superiore
  • colore: rosso rubino, tendente all’amaranto con l’invecchiamento;
  • titolo alcolometrico volumico minimo: effettivo 12,5 %, naturale 12 %.
  1. Monica di Sardegna frizzante
  • colore: rosso rubino;
  • titolo alcolometrico volumico minimo: effettivo 11 %; naturale 10,5 %.
    All’olfatto sentiamo profumi di mora e ciliegia, confettura di frutti rossi e spezie delicate,
    sovente accompagnate da sfumature di mandorla dolce. Al palato si presenta caldo e
    gradevolmente morbido.
    Dal vitigno Monica si ottengono due tipologie DOC: Monica di Sardegna e Cagliari Monica.
    In uvaggio con il Bovale sardo e il Cannonau partecipa alla pregiata DOC Mandrolisai.
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Peperoncini ripieni

I peperoncini tondi ripieni sono una specialità sarda. Solitamente questi deliziosi
peperoncini piccanti si riempiono di tonno e acciughe ma Imprentas ha pensato di
personalizzarli ancora di più per i propri clienti, dando loro un gusto ancora più saporito e
al tempo stesso fine e raffinato. I Peperoncini dolci sardi di Imprentas sono infatti ripieni di
crema di carciofo e di muggine affumicato.
Questa farcia è unica e pregiata; crea una combinazione di sapori di terra e di mare
deliziosa, equilibrata e sorprendentemente delicata. La ricetta dei peperoncini ripieni è
lunga e laboriosa, infatti vengono preparati artigianalmente utilizzando solo peperoncini
sardi, senza l’utilizzo di conservanti e coloranti alimentari, e sono racchiusi in vasetti
sterilizzati con cura. I peperoncini ripieni di crema di carciofo e di muggine affumicato si
servono come antipasto, ma sono perfetti per accompagnare con gusto anche i piatti di
pesce.

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Cannonau di Sardegna

Vitigno sardo da sempre, viene citato forse per la prima volta dal famoso inviato della
Corona di Spagna Martin Carrillo (1612), si dice fosse uno 007 del re, che relazionò al
sovrano lo stato delle cose in Sardegna nel proprio rapporto.
Carrillo in un passo sostiene che sale e vino sardo erano esportati in Inghilterra già al
tempo, parla di Moscato, Malvasia e «cañonates de color como Rubi, muy sano e muy
bueno» (1612: 63); cita una cena di gala sarda con «25 cubas grandes de diversos vinos»
e molti altri cibi delicati e fini tra cui paste e dolci di ogni sorta.
Il missionario Francesco Gemelli nel 1776 elenca tra i top wine sardi il “Canonao”, mentre
il coevo agronomo Andrea Manca dell’Arca lo chiama “cannonadu”.
Un vitigno antico, di pregio, citato nelle vecchie fonti, che oggi è il fiore all’occhiello della
vitivinicoltura sarda, insieme al bianco Vermentino.
È il vitigno a bacca rossa più coltivato, si trova in tutta l’Isola, con denominazioni e sotto-
denominazioni.
Abbiamo infatti il “Cannonau di Sardegna” che comprende intero territorio regionale e il
“Cannonau di Sardegna Classico” riservato alla provincia di Nuoro. Come sottozone
abbiamo:

  • “Oliena” o “Nepente di Oliena“: è prodotto nei comuni di Oliena e di Orgosolo, in
    Barbagia.
  • “Capo Ferrato”: prodotto nei comuni di Castiadas, Muravera, San Vito, Villaputzu,
    Villasimius, nel sud est dell’Isola.
  • “Jerzu”: pertiene ai comuni di Jerzu e Cardedu in Ogliastra.
    È un vino splendido che in purezza o in blend si accompagna magnificamente alla
    selvaggina, alle carne bianche e rosse, ai formaggi semistagionati e stagionati, anche ad
    alcuni dolci, nella sua versione passita o liquorosa.
    È molto duttile e si può vinificare in diversi modi, ecco alcuni dati “tecnici”.
    Cannonau di Sardegna rosso
  • colore: rosso rubino più o meno intenso.
    Cannonau di Sardegna rosato
  • colore: rosa più o meno intenso.
    Cannonau di Sardegna rosso riserva
  • colore: rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
  • invecchiamento: minimo 2 anni di cui almeno 6 mesi in botti di legno.
    Cannonau di Sardegna classico
  • colore: rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
  • invecchiamento: minimo 2 anni di cui almeno 1 in botti di legno.
    Cannonau di Sardegna passito
  • colore: rosso rubino più o meno intenso;
  • appassimento delle uve: su pianta, stuoie, graticci o locali idonei. Ammessa parziale
    disidratazione.
    Cannonau di Sardegna liquoroso
  • colore: rosso tendente al granato con l’invecchiamento;
  • titolo alcolometrico volumico effettivo minimo: 18,00% per il tipo “secco” e 16,00 % per il
    tipo “dolce”;
  • invecchiamento: minimo 6 mesi in botti di legno.
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pane guttiau

Croccante, saporitissimo il pane guttiau è il cibo ideale per iniziare il pasto con gusto, per fare un piccolo aperitivo, per stupire gli ospiti ad eventi, party, feste. Si tratta di pane carasau che viene gocciolato con olio d’oliva, rendendolo così ancora più appetitoso. Il nome guttiau in sardo significa “gocciolato”. 
In origine i pastori gocciolavano del grasso preso dai maialetti in cottura nei focolari, poi la ricetta si è evoluta grazie all’abbondanza di olio evo sardo di altissima qualità.
Consigliamo di scaldare il pane guttiau nel forno di casa, con l’aggiunta di un po’ di sale marino fine; il pane guttiau sostituisce egregiamente patatine e simili, è più sano ed è una icona della Sardegna! 

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