Elementor #1353

by Stefano Pedron

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Il riso è coltivato sull’Isola sin dagli anni ’50 del secondo scorso con successo e non mancano perciò le ricette tipiche con questo straordinario ingrediente. Questa prima ricetta che vi presentiamo è di Alghero, perciò il nome è in catalano, lingua ancora adesso parlata nella cittadina.  La preparazione è molto semplice: si fa soffriggere delicatamente una cipolla tritata insieme a due foglie di alloro con olio evo, si sala e si aggiunge il latte. Quando bolle si aggiunge il riso e si cuoce rimescolando di frequente. A piacere, a fine cottura, per mantecare si può aggiungere del pecorino sardo grattugiato. Si serve tiepido a tavola.

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Si tratta di una specie di sformato senza uova, tipico dell’Ogliastra e delle zone limitrofe della Sardegna centro-orientale, con cipolle e di solito l’aggiunta anche di zucca o zucchine, pomodori freschi o secchi secondo la stagione. Un tempo piatto povero oggi è ricercato per il suo gusto genuino e deciso. In pratica si tagliano finemente le verdure a disposizione, si mescolano con pecorino sardo grattugiato, si aggiunge un po’ di lardo o olio evo, sale q.b. si adagia il composto su di una teglia (ungendola o con carta antiaderente) e si cuoce in forno sino ad avvenuta doratura della superficie. Chi vuole può spolverizzare la superficie dell’impasto con semola di grano duro, prima di infornare, per ottenere una bella crosticina.

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Incontriamo Claudia Rumi, Direttrice del magazine FoodMoodMag, milanese di nascita e fiorentina d’adozione da alcuni anni. Da perfetta “bonne vivante” ha una passione senza riserve per la cucina italiana soprattutto della tradizione che ama esplorare in loco, durante i viaggi di lavoro o di piacere. Nell’intervista ci racconta l’incontro con la cucina sarda avvenuta in occasione di un lungo giro in barca dell’isola. E soprattutto delle sue predilezioni made in Sardinia che ama riproporre a tavola anche quando è a Firenze.

Parlaci del magazine che dirigi…

FoodMoodMag è un giornale on line con redazione a Firenze ma che parla del e al nazionale. Un lifestyle con al centro il buon cibo e il buon bere. Non mancano “altri mondi” come il design, la moda, l’arredamento, il turismo, l’arte, l’editoria… di cui, spesso, intervistiamo protagonisti per meglio sondare tendenze, orientamenti e ovviamente “catturare” scoop inediti.

Cosa pensi della cucina sarda?

È una vera e propria espressione d’arte ai fornelli. Ricca, interessante, genuina, figlia di quel crogiolo secolare di culture mediterranee che la rendono unica e affascinante al palato. Personalmente adoro la possibilità di poter scegliere la terra o il mare della “memoria”: un buon porcheddu o un “energico” ziminu tipico del sassarese. Ma anche ovviamente, un delizioso piatto di pasta con bottarga di tonno o di muggine o una cassola, la zuppa di mare cagliaritana.

Il prodotto sardo che non può mancare nella tua cucina?

Mai senza il pecorino. Insostituibile! Il suo bouquet è un viaggio sensoriale che parla di pascoli, di microflora lattiero-casearia presente nel latte, di incomparabile saper fare, insomma il cacio e pepe con pecorino sardo mette sempre d’accordo tutti! Ragion per cui nella mia dispensa abbonda. Parlando di formaggio, ricordo quando feci due anni fa il giro della Sardegna in barca con mio marito… ebbene, nella meravigliosa Alghero assaggiai per la prima volta i culurgiones, fagottini ripieni di patate, formaggio e menta. Fu un coup de foudre di gusto! Di una bontà straordinaria tanto che durante la settimana che soggiornammo nella cittadina spagnoleggiante, li preparai più volte in barca.

Quando sei a Firenze, dove ti procuri i prodotti sardi per le tue ricette?

Uno dei fattori positivi del lockdown è stata l’affermazione definitiva degli acquisti on line (così come il consolidamento dello smart working…). Certo, una modalità che era già in essere prima ma che si è fortemente potenziata a causa delle restrizioni da Covid-19.

Così, ho goduto, tra l’altro, della “Sardegna a casa” grazie al portale Imprentas che vanta un ventaglio ampio di prodotti tipici dell’isola e li consegna in tutta Italia. Dal pane Carasau, al miele di Sardegna, all’agnello di Sardegna IGP, fino a un buon Cannonau. Oltre ai culurgionis di menta di cui ho già parlato, la fregula sarda e, per i più esigenti o per un regalo, il kit “Essenziale per Spaghetti alla polpa di riccio“. Lo consiglio vivamente: con un click, si possono variare ingredienti con sapori e saperi di una regione che in materia gastronomica è molto generosa.

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Gli hambuger di pecora possono costituire un piatto unico di eccezionale bontà quando accompagnati da due fette di pane (o il tipico burger bun tagliato a metà), insalata e pomodori, una fetta di formaggio sardo filante, arricchiti da salse, sino ad ottenere un panino imbottito simile al tipico cheeseburger, ma di incomparabile sapore, freschezza e genuinità.

Può essere una gioia per gli occhi e una festa per il palato di bambini e teenager. I burger buns classici hanno i semini di sesamo sopra e sono soffici, esistono svariate ricette in rete per prepararli perfettamente; le salse per condire questo cheeseburger casalingo sono la classica ketchup e la maionese, magari fatte in casa. Tutte le varianti dipendono dalla fantasia e dal gusto di chi li assembla.

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Incontriamo Marina Ravarotto, nuorese doc, chef patronesse del ristorante Chiaroscuro di Cagliari; è stata allieva di tanti bravi chef sardi e a meno di 40 anni ha realizzato il suo sogno: aprire un ristorante.

Qual è la tua filosofia di cucina Marina?

Valorizzare i prodotti senza alterarne i sapori.

Il maestro/la maestra a cui ti ispiri?

Il mio mentore è lo chef Mario Tirotto con cui ho collaborato cinque anni presso il resort Valle dell’Erica.

Il prodotto sardo che non deve mai mancare nella tua cucina?

Il prodotto che uso di più, da nuorese, è certamente la pecora, una materia prima identitaria! Per la mia cultura anche la pasta filindeu, unica al mondo e con una storia meravigliosa.

Dei prodotti Imprentas che cosa useresti e come?

Userei il macinato per fare gli hamburger: si prendono 500 g di carne macinata di pecora, si unisce un uovo intero, sale e pepe quanto basta. Si fa un trito di spezie fresche (timo, salvia e maggiorana) con 50 g di pecorino grattugiato. Si uniscono tutti gli ingredienti e si lascia marinare il tutto per qualche ora in frigo. Poi si ricavano delle palline, tutte uguali, che successivamente si appiattiscono per ricavarne gli hamburger.

Marina ci dà anche la sua ricetta gourmet per le costolette di pecora sarda, sicuramente di grande gusto. «Si mettono a “marinare” le costolette per 30 minuti con un composto di zucchero grezzo di canna e sale fino nella stessa percentuale, poi si prepara un’altra marinatura con olio evo, pepe e spezie, possibilmente sarde, come bacche di ginepro, alloro e armidda (timo selvatico). Questa marinatura si protrae per circa sei ore; una volta pronte le nostre costolette si sgocciolano e si scottano in padella da ambedue i lati; a me piace far sentire al cliente il sapore naturale della carne. Quella di pecora è buonissima e così si esalta».

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La Sardegna è universalmente conosciuta come terra di grandi formaggi ovini, dal famoso Fiore sardo al Pecorino sardo e Pecorino romano, popolata com’è da oltre tre milioni di pecore. Queste oltre a dare un latte sopraffino sono un’importante fonte di carne. La carne d’agnello e la carne di pecora entrano in composizione non solo in numerose ricette tipiche e tradizionali, ma anche in rivisitazioni creative della cucina locale. È questo il caso dello sfizioso hamburger di pecora ad esempio.

Non tutti sanno che la carne di pecora sarda è sana, poco grassa e nutriente poiché le greggi sono tradizionalmente allevate allo stato semibrado, all’aria aperta e nutrite prevalentemente con erbe spontanee. Si tratta quindi di carne di animali da pascolo, che vedono la stalla solo per il ricovero notturno.

Naturalmente secondo l’età della pecora le sue carni vengono cucinate diversamente; la carne più prelibata, tolta quella d’agnello, tenera e delicata, è quella della pecora “saccaia”, che nel gergo dei pastori vale a dire di circa un anno e che non ha ancora partorito.

La carne di pecora viene utilizzata sia in lunghe cotture (bollita, in tegame), arrosto, per preparare brodi sostanziosi in cui cuocere la pasta o imbevere il pane raffermo e farne zuppe.

Il “quinto quarto” dell’animale viene ugualmente utilizzato nella cucina tradizionale, come nella cordula o nella tratalia. La prima, corda (varianti cordula o cordedda), italiano “treccia” per l’aspetto, è ricavata dall’intestino crasso e reticolo di pecora (o d’agnello); la seconda, tratalia o tataliu, è formata principalmente dalla coratella dell’ovino (cuore, fegato, polmoni), intervallando i vari pezzi insieme pezzi di lardo, avvolti con il peritoneo (sa nappa) e l’intestino tenue della bestia. Sia corda sia tratalia si cucinano preferibilmente arrosto sul camino, allo spiedo o sulla graticola. Sa corda viene presentata anche in tegame con i piselli.

Con il brodo di pecora si compongono molte pietanze tradizionali. Due in particolare, su Filindeu, a base di una trama di capelli d’angelo “filati” a mano, sovrapposti in tre strati e lasciati essiccare all’aria; intrisi nel brodo con abbondante pecorino grattugiato sono un piatto tipico nuorese.

La seconda pietanza è la zuppa (sardo suppa) di finocchietto. In questo caso fette di pane raffermo sono insaporite con brodo di pecora, disposte su più strati come lasagne di una pasta al forno, intervallando al pane fette di pecorino o formaggio vaccino (tipo casizolu) e l’immancabile finocchietto selvatico, pianta iconica della cultura gastronomica sarda.

Nella cucina identitaria sarda la carne di pecora viene utilizzata in numerose ricette.

La carne di agnello è una ghiottoneria festiva presente nelle mense a Natale e Pasqua e si prepara in mille modi. Viene accompagnata con le patate (ghisau ‘e patatas), con i piselli, con il finocchietto (fenugu aresti), preparata in umido, arrosto, con fregula e pomodori secchi (a sa mauritana) nel Sulcis, areale della Sardegna sudoccidentale. L’agnello, tra l’altro, è uno dei prodotti IGP (a Indicazione Geografica Protetta) della Regione.

La carne bovina è di grande bontà, allevata com’è all’aperto con ampi pascoli a disposizione e sotto il terso cielo di Sardegna. Duttile e gustosa si può usare in tutte le preparazioni della tradizione (soprattutto stufata, in sardo “ghisadu” dallo spagnolo antico guisado) e i piatti della cucina contemporanea.

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