Elementor #1353

by Stefano Pedron

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Malloreddus al Cannonau

Primavera: è tempo di primi piatti, come le evergreen pastasciutte, sfiziosi e golosi. Imprentas ha
tipologie di pasta uniche, come i malloreddus al vino Cannonau, gli gnocchetti sardi al Mirto o
ancora le meravigliose Lorighittas allo zafferano.
Vediamo come abbinare al meglio queste preziose paste con condimenti appetitosi, semplici da
realizzare e veloci.
I Malloreddus al Cannonau, insaporiti dal prezioso e tipico vino rosso, trovano il proprio
completamento con creme alle melanzane, alle zucchine, con il ragù di agnello o con una semplice
salsa ai formaggi sardi. In autunno si abbinano ai funghi freschi, in primavera alle favette, per ogni
stagione ci sono prodotti adatti a questa pasta gustosa e particolare.
Gli Gnocchetti sardi al Mirto hanno un bel colore, colore sorprendente e intrigante, dal sapore
delicatamente aromatizzato al mirto, una delle piante totemiche della Sardegna. Questi gnocchetti
sardi si prestano a mille preparazioni. Gli gnocchetti sono ottimi sia in versione pastasciutta,
accompagnati da un battuto di lardo, sciolto in padella e una generosa grattugiata di pecorino
fresco o semistagionato. Sono indicati anche nelle classiche insalate di pasta estive, con l’aggiunta
di pomodorini, capperi e olive, olio extravergine e tocchetti di provola ovina o altro formaggio
poco stagionato.
Questa pasta, costituita da due anellini sottili intrecciati tra loro e chiusi ad anello, può essere
consumata anche con un buon brodo di carne, arricchito da pecorino grattugiato, come comfort
food nelle serate di pioggia, oppure con un delizioso sugo di pomodori freschi e basilico o anche
con il pesto alla genovese o infine con un ragù di vitello. Con la loro forma unica in Italia
sorprendono sempre quando arrivano a tavola gli ospiti e sono decisamente una pasta per cene
eleganti e pranzi con ospiti di riguardo.
Abbineremo le Lorighittas anche allo zafferano e alla bottarga sarda, grattugiata o tagliata a
piccole sottili rondelle, completando con carciofi freschi quando è stagione, o sott’olio e un filo di
buon olio extravergine d’oliva.

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PicNic

Maggio è la stagione ideale per fare un pic nic gustoso. Che decidiate di andare al mare, in una
delle splendide spiagge dell’Isola o in campagna, magari nelle colline della Marmilla o della
Trexenta, il cesto da pic nic pieno di prodotti sardi può fare la differenza. C’è anche chi,
approfittando della bella stagione e delle temperature piacevoli, sceglie la montagna sarda,
decidendo di fare trekking sulle vette del Gennargentu, o nei sentieri dell’Ogliastra, terra dei
centenari, o ancora di pedalare nei sentieri del Monte Arci, non lontano da Oristano. I famosi
sentieri Miniere nel blu del Sulcis o XXX dell’Ogliastra accolgono ogni anno migliaia di escursionisti.
È importante, sia quando si fa una semplice escursione, sia quando si affronta una prova sportiva
più impegnativa, nutrirsi con gusto. I formaggi sardi, caprini, ovini e vaccini, sono perfetti perché
ricchi di nutrienti oltre che gustosissimi. Il pane carasau non può mai mancare, perfetto con ogni
companatico, leggero e sfizioso com’è, così come il guttiau.
Per un pic nic al mare sono perfetti vini leggeri e frizzanti come il Dolì, da assaporare in compagnia,
magari davanti ad uno dei magici tramonti dell’Isola che si godono da Capo Caccia, a nord ovest, a
Capo Spartivento nell’estrema propaggine a sud ovest della Sardegna.
E poi per accompagnare formaggi e salumi sono perfette le composte, le creme spalmabili, le
confetture…il tutto accompagnato da un buon vino sardo o una birra artigianale sarda. Dulcis in
fundo, è il caso di dire, i dolci sardi, super tradizionali e buoni.
Partiamo con i dolci hit della stagione primaverile, quelli con ricotta o formaggio: pardulas
profumate allo zafferano, casadinas, una specie di pardula salata, ottima come antipasto e
naturalmente le regine dei dolci sardi, le seadas, squisiti tortelli ripieni di formaggio che vengono
fritti e poi aromatizzati con miele.
E poi il gateau di mandorle, chiamato affettuosamente gattò dai sardi, un croccante goloso che è
l’ideale completamento del pasto, da solo o accompagnato da una pallina o due di gelato, alla
crema e al pistacchio.
Si completa idealmente il pic nic aprendo una bottiglia di mirto, tenuta in fresco nella borsa frigo,
per un brindisi di fronte al mare o negli ombrosi boschetti di lecci, cisti e corbezzoli dell’Isola.

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Pane tipico sardo

Il pane sardo o dovremmo dire i pani sardi, ne esistono centinaia di tipologie infatti: pani a mollica, come
civraxiu e moddizzosu, pani a pasta dura, come il pane coccoi, pani tipo spianata e pani biscottati come
carasau e pistoccu.
Il pane in Sardegna è un alimento fortemente identitario, tradizionale, che coinvolge le persone in modo
totalizzante. Infatti attorno al pane ruotano abilità, pratiche, socialità, forme di collaborazione. Il pane
sardo è anche rito e segna il calendario. C’è un pane per ogni stagione e ogni stagione, festa, santo, ha i
propri pani.
Il pane è stato per secoli l’alimento cardine della dieta dei sardi, che ne hanno messo a punto tante
tipologie, alcune delle quali note in tutto il mondo, come carasau e pistoccu, ricercate per il loro gusto
unico e inimitabile.
I pani sardi dunque rappresentano un patrimonio culturale smisurato, formato da centinaia di tipologie di
pani diversi, che variano per forma, occasione di preparazione, ingredienti, località di produzione.
Gli ingredienti base del pane tradizionale sardo sono la semola di grano duro, il lievito naturale, l’acqua di
fonte e un pizzico di sale marino; a questi nei pani conditi o speciali si aggiungono, secondo la tipologia,
zafferano, olive, ciccioli di maiale, ricotta, cipolle, zucchine, pomodori, uva passa, e quanto altro suggerisce
la creatività.
Tra i pani tipici si distinguono quelli artistici, decorati a mano, pani cerimoniali confezionati per le grandi
occasioni, come le feste patronali e del ciclo calendariale cristiano, sia per battesimi, matrimoni,
fidanzamenti.
I pani sardi si dividono grossolanamente in pani con mollica, soffice o compatta, e in pani a sfoglia, morbida
o croccante. Tra quelli a mollica soffice vi sono moddizzosu e civraxiu (dal latino cibarius), mentre su coccoi
è a mollica compatta, spesso lavorato in fogge artistiche arricchite da decorazioni mediante l’intaglio della
pasta con rotelle, coltellini, pinzette e forbicine.
Tra i pani a sfoglia morbida emergono la spianata di Ozieri e lo zichi di Bonorva, mentre tra i pani biscottati
c’è su pistoccu, solitamente rettangolare, e il carasau, più sottile, circolare o a mezzaluna, entrambi
caratteristici tipici delle zone pastorali. Questi ultimi presentano appunto la particolarità di essere
biscottati, ossia cotti due volte, per togliere acqua dal prodotto, poiché anticamente erano preparati dalle
donne per i pastori di famiglia, che li portavano poi con sé durante i lunghi mesi della transumanza.
I pani sardi raccontano oltre la bontà anche i paesaggi del cibo dell’Isola, le grandi distese di grano duro da
cui si ricavano le semole e le farine per i pani, le paste alimentari e i dolci tipici.

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Denise Dessena

Denise Dessena è Responsabile vendite e organizzatrice di eventi presso alcune aziende di vino e
di cibo. Si divide tra Sardegna e Lombardia. Vive con la famiglia in Franciacorta ma spesso torna
nella sua Sardegna. Fa parte di alcune associazioni, tra cui AIS e Le donne del Vino. Sommelier,
Degustatore ufficiale e Relatrice AIS, gestisce con la famiglia l’Hotel Ristorante S’Astore di
Benetutti (SS).
È stata per quattro anni vice Delegata delle Donne del Vino della Sardegna.
La delegazione regionale della Donne del vino, di cui l’attuale Delegata è Nina Puddu, è composta
da una cinquantina di produttrici, ristoratrici, enotecarie, enologhe e sommelier, giornaliste,
esperte di marketing e comunicazione. Le Donne del vino sono un’associazione molto importante
sia a livello locale (ogni regione italiana ha una bella compagine) sia a livello nazionale, che
annovera più di 1000 socie. L’attuale Presidente è Daniela Mastroberardino.

Denise raccontaci un po’ di te, della tua formazione e delle tue origini sarde, a cui tieni molto.
Sono nata in un piccolo paese del Goceano, Benetutti, conosciuto per le sue benefiche acque
termali.
Vengo da una famiglia di ristoratori e albergatori, sono cresciuta in un ristorante dove la mia
famiglia mi ha trasmesso la passione per questo lavoro e l’amore per il buon cibo.
Partecipare attivamente, dedicandomi soprattutto all’accoglienza e alla sala, è stato naturale.
Fin da ragazza, lavorare nelle attività di famiglia era per me motivo di gran orgoglio. Ho avuto la
fortuna di lavorare in inverno a Benetutti e in estate a Porto Rotondo, rapportandomi con una
clientela nazionale e internazionale.

E dopo la scuola superiore?
Anche i miei studi universitari rispecchiano la vocazione familiare per l’hospitality, ho studiato
economia del turismo a Rimini. Per qualche anno dopo gli studi universitari ho lavorato nel mondo
della Finanza, settore molto affascinante che mi ha arricchito ulteriormente.
L’amore per il vino è arrivato con la maturità, e come tutti gli amori maturi è una passione
consapevole, che in questi ultimi anni mi ha impegnato tanto, riportato sui libri con entusiasmo e
aperto nuove opportunità lavorative, ma soprattutto nuove consapevolezze personali e la certezza
che il vino e il cibo sono la mia vocazione. Il connubio cibo-vino è per me fisiologico.
Così nel 2016 ho preso il diploma di Sommelier, l’anno successivo la qualifica di degustatore
ufficiale e nel 2019 sono diventata relatrice all’AIS; ciò mi dà la possibilità di insegnare ai corsi AIS
e nelle scuole alberghiere.

Che tipo di persona sei?
Credo di essere una persona molto socievole e curiosa, questo nella vita mi ha permesso di
crescere e di sviluppare una rete di contatti multisettoriale. Questa sono io sognatrice, socievole,
curiosa, appassionata ed entusiasta.
Il connubio donne -vino è a doppio filo: le donne sono caparbie, sono amore, passione,
determinazione, pazienza. Il vino è lo stesso: ci vuole pazienza, che le viti inizino a produrre l’uva,
pazienza nell’aspettare che l’uva maturi, che il vino fermenti, pazienza che il vino maturi prima in
botte e poi in bottiglia. Ci vuole passione in ogni cosa che si fa. Il vino è passione e cuore, è
innamoramento…e chi conosce queste cose meglio delle donne?

Due parole sulle tue preferenze enoiche e il mondo del vino sardo
Mi piacciono molto le bollicine, mi piace il Cannonau che è il vino dei Sardi ed è un po’ il mio
vitigno del cuore, ma a me il vino piace tutto. Come tendenze vedo in continua crescita il mondo
dei rosati e il Vermentino. Si beve meno ma in modo più responsabile. La sostenibilità sta
diventando per fortuna sempre più importante e sposo molto volentieri quest’idea; perciò cerco di
lavorare con aziende che tengono alla sostenibilità, dalla vigna alla cantina.2

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Cantine di Oliena

Oliena è un grazioso borgo della Barbagia, che sorge a 340 mslm, noto per gli ottimi vini e le cantine, dove
tradizione e innovazione si intersecano.
Tra le cantine più importanti spicca la Cantina Sociale di Oliena, una delle principali cooperative della
Barbagia, da decenni impegnata nella valorizzazione del Cannonau di Sardegna DOC in una delle sue
tipologie più celebrate e amate dai sardi: il Nepente di Oliena, qualità afferente ad una delle tre sottozone
della denominazione.
La Cantina sociale di Oliena nasce nel lontano 1950 quando un piccolo ma agguerrito gruppo di viticoltori
locali decide di mettersi insieme per valorizzare il vitigno più comune e pregiato delle loro vigne: il
Cannonau. I terreni sabbiosi di natura calcarea, dolcemente collinari, sono perfetti per la coltivazione della
vite e per le forme di allevamento ad alberello basso, che caratterizzano il paesaggio.
La presenza intorno di cime come quella del Corrasi, la vicinanza al mare e il microclima, con grandi
escursioni termiche, sono elementi che favoriscono una produzione con alti standard qualitativi.
La Cantina Sociale di Oliena produce vini quasi esclusivamente da uve Cannonau: il più noto di essi è il
Nepente di Oliena, sia nella versione Classica sia nella Riserva, che prende il nome dal Monte Corrasi e che
si pone quale uno dei prodotti meglio riusciti dell’intera viticoltura isolana.
Accanto al Nepente di Oliena sono disponibili una serie di altri prodotti, tra cui la grappa, i quali hanno,
come minimo comun denominatore, la presenza dell’uva Cannonau.
Il loro Nepente di Oliena, Cannonau di Sardegna DOC, è un vino corposo e profumato, ideale per
accompagnare grigliate miste di carne ma anche formaggi di medio lunga stagionatura come ad esempio il
fiore sardo DOP stagionato 18-24 mesi, il pecorino riserva nera, il Pecorino romano DOP, o il Pecorino
Calcagno o anche lo speziato Pepato.

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L’allevamento dei suini in Sardegna ha una tradizione millenaria, testimoniata persino da alcune
raffigurazioni in bronzetti artistici nuragici. Nella Sardegna tradizionale quasi ogni famiglia allevava e
macellava il maiale domestico, ricavandone carne fresca, salumi, lardo e strutto.
Il lardo nella cucina sarda ha dunque svariati usi, vediamoli insieme.
Innanzitutto il pane guttiau si preparava tradizionalmente facendo gocciolare del lardo sciolto sul pane
carasau tiepido. Oggi si usa anche l’olio evo, va a gusto. Un trucco per rendere più croccante la cotenna del
maialetto da latte allo spiedo consiste nel gocciolare del lardo sciolto sulla cotenna in fase di cottura. Il
lardo inoltre è un ingrediente fondamentale in molte pietanze tradizionali, come le zuppe di ceci o di fagioli,
i minestroni di bietole, di fave, la favata, e la zuppa di cavolo sassarese.
Per la zuppa di cavolo alla sassarese occorrono costata di manzo, pancetta di maiale, salsiccia sarda secca,
salsiccione fresco, lardo, cavolo verza; per il brodo, cipolla, aglio, menta secca e sale q.b.
Si pulisce il cavolo, eliminando le foglie esterne più dure e il torsolo, poi si lavano le foglie e si tagliano a
listarelle più o meno grandi, secondo il gusto.
Nel frattempo si prepara un brodo vegetale con acqua salata in cui si versano la costata, la pancetta, la
salsiccia e il salsiccione, la cipolla tagliata grossolanamente e si fa cuocere. A metà cottura si uniscono le
listarelle di cavolo.
Per ultimo si incorpora del battuto di lardo con aglio e menta secca, si rimescola e si fa stufare tutto
insieme.
La ricetta ha innumerevoli varianti, col cavolo cappuccio, con il cavolfiore, con l’aggiunta di patate o con
l’aggiunta di fave, secondo la stagione e il gusto personale.
Per il minestrone di fave per quattro persone occorrono 500 g di fave, una cipolla, 50 g di lardo, bietole,
pomodori freschi o pomodori secchi (secondo la stagione), frégula q.b. circa un pugno a commensale.
In una pentola con acqua salata si mettono le fave, lasciate in acqua ad ammorbidirsi dalla sera precedente.
Si unisce la cipolla e il lardo a dadini, le bietole e i pomodori freschi o secchi. Nel caso si utilizzino i
pomodori secchi bisogna prima immergerli in acqua tiepida e privarli del sale. Si lasciano cuocere gli
ingredienti sino a quasi cottura completa, si versa la fregula e si attendono 10/15 minuti. Si Spegne e si
serve caldo a tavola.

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Caciotta di pecora

La caciotta di pecora è un formaggio particolare e squisito, che nasce dalla bravura dei maestri casari sardi.
Non è un prodotto tradizionale ma dell’innovazione, legato al consumo sempre più ampio di formaggi a
breve stagionatura, più leggeri e meno grassi, ideali come spuntino, antipasto da soli, o come ingrediente
fantasioso in molti piatti.
La caciotta di pecora è un formaggio a breve stagionatura, dal sapore dolce e fragrante, che richiama
piacevolmente al palato il sapore del latte. Morbido e attraente, questo prodotto caseario sardo si presenta
con un colore bianco – crema deciso e con la forma cilindrica.
Le forme intere pesano in media uno o due chilogrammi.
Preparata con latte pastorizzato di pecora di razza sarda, la caciotta di pecora si può gustare da sola, ma è anche un ingrediente da sfruttare con creatività in cucina.
Le preparazioni possibili a partire da questo formaggio sono infatti tante e diverse: si può utilizzare
ad esempio tagliata a dadini nelle classiche insalate, è perfetta anche per insaporire ricette di consistenti
timballi o con le uova in tegame, applicando una generosa fetta sopra ogni uovo in cottura.
Un uso suggerito della caciotta consiste nel tagliarla a fette sottili, e fare una specie di pasta al forno con il
pane carasau.
Ecco la preparazione: si prepara il sugo di pomodoro come di consueto, lasciando un po’ liquido, si sistema
in una pirofila un fondo di salsa, si aggiunge uno strato di sfoglie di pane carasau, si bagna con il sugo, si
aggiungono delle fette di caciotta, si mette un altro strato di sfoglie di pane, salsa, altre fette di formaggio,
sino a fare 3 o 4 strati. Si ultima con una spolverata di pecorino romano, per far formare la crosticina sulla
superficie. Si inforna a 160 gradi per una ventina di minuti, si sforna e si serve ben caldo.
La caciotta di pecora è ottima anche da gustare fresca, accompagnata da una confettura di pere o da un po’
di miele sardo. Si sposa perfettamente con vini rossi leggeri e dal bouquet tendenzialmente fruttato. La
stagionatura va dai 20 ai 40 giorni.

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pranzo tipico sardo di Pasqua

Nel pranzo tipico pasquale sardo non possono mancare i caratteristici pani con l’uovo sodo, simbolo di
rinascita, le pardulas, deliziose tartellette dolci come dessert, e in mezzo, come secondi piatti l’agnello,
cotto come si preferisce, sua maestà il maialetto sardo, accompagnati da verdure fresche, sottoli, e un
antipasto con salumi e formaggi sardi.
La pastasciutta, regina dei primi piatti, è sovente rappresentata da ravioli o culurgiones, conditi con
semplice olio novello evo sardo e una spolverata di formaggio pecorino, piuttosto che con un denso sugo di
pomodoro, sempre accompagnato da pecorino grattugiato o pecorino romano.
Vediamo con ordine alcune portate.
Si comincia servendo a tavola coccoi con s’ou (chiamato in talune zone della Sardegna angùlis): si tratta di
pani con una o più uova sode, simbolo beneaugurale, deliziosi da vedere e ottimi da mangiare. Un tempo
erano il dono di Pasqua per i bambini, oggi sono per lo più un elemento decorativo della tavola pasquale,
che richiama il folklore sardo di un tempo.
Dopo gli antipasti e la tradizionale pastasciutta si servono i secondi piatti. Maialino da latte arrosto ed
agnello arrosto o cucinato secondo due antiche ricette. La prima si chiama nel Campidano di Cagliari
“angioni a fricassè” o agnello in salsa bianca.
Si cucina in occasione della Pasqua e di altri momenti festivi in primavera. La fricassea, dal francese
fricassee appunto, che secondo l’enciclopedia Treccani online è “spezzato di vitello, di agnello o di pollo,
cotto in casseruola con burro ed erbe aromatiche, funghi freschi o secchi, cui si aggiungono rossi d’uovo
frullati e succo di limone”.
Difficile dire quando questo squisito piatto è stato adottato nella cucina sarda; almeno nel primo trentennio
del Novecento, quindi la ricetta può considerarsi tradizionale.
Gli ingredienti per 4/6 persone prevedono un agnello sardo tagliato a pezzi grossolani, una cipolla, un po’ di
prezzemolo, 2 bianchi d’uovo (o uova intere secondo la variante), il succo di un limone, mezzo bicchiere di
vino bianco, olio q.b. per rosolare. Per la preparazione si mette l’agnello in un capiente tegame con cipolla,
olio e prezzemolo. A metà cottura si aggiunge il vino bianco.
All’ultimo si aggiunge la salsa sull’agnello, realizzata con l’albume delle due uova e il succo di un limone. Si
mescola velocemente e si serve a tavola.
La seconda ricetta è agnello al finocchietto selvatico (anzone cun fenuju aresti). Per quattro persone
occorrono: 1 kg di agnello da latte (coscia), olio evo, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cipolla, 1 o 2 spicchi
d’aglio a piacere, 80-100 g di finocchietto selvatico, sale q.b. Si Taglia a piccoli pezzi l’agnello. Si fa
soffriggere in un ampio tegame la cipolla tagliata a fette sottili ed eventualmente l’aglio.
Si aggiunge la carne a rosolare per qualche minuto, sempre mescolando. Si versa il vino bianco nel tegame
e si lascia sfumare, continuando a far cuocere la carne. Si aggiunge il finocchietto selvatico (già mondato,
lavato e sbollentato in acqua), un po’ d’acqua di cottura dei finocchietti stessi e il sale. Si copre il tegame
con un coperchio e si finisce di far cuocere. Si serve l’agnello ben caldo.
Come dessert si consumano le pardulas, che contengono formaggio o ricotta fresche, zafferano, zucchero.
Una alternativa alle pardulas è costituita da un antico dolce algherese il menjar blanc, mangiar bianco, di
origine catalana.
La moda del biancomangiare risale al Medioevo e si diffuse dalla penisola iberica nel resto d’Europa. È un
dolce al cucchiaio molto semplice, si utilizza amido di farina, latte e zucchero. Si amalgama amido e latte,
versando a pioggia lo zucchero. Si aggiunge eventuale buccia finemente grattugiata di un limone biologico.
Una volta addensato si versa il composto in coppette e si lascia raffreddare. Si gusta nelle coppette
accompagnato da un buon vino da dessert.

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intervista a Dario Torabi

Intervistiamo lo chef patron Dario Torabi dell’Old Friend Bistrot Cagliari, un locale che sta facendo parlare
molto bene di sé.
Figlio d’arte, il papà, iraniano, aprì negli anni ’90 un piccolo ristorante persiano di grande successo; oggi
l’Old Friend di Dario rappresenta una delle realtà più eclettiche in città.
Dario è già stato notato dai critici gastronomici di Identità golose, Reporter Gourmet e di altre riviste
prestigiose. I foodies sardi lo conoscono bene.

Come ti sei formato e qual è la filosofia che ruota intorno all’Old Friend?

Dopo il liceo classico mi formo come autodidatta soprattutto a Monaco di Baviera per poi tornare a Cagliari
e aprire l’ Old friend, un locale in cui potessi sentirmi libero di fare a 360 gradi quello che volevo. Come
obbiettivo ci prefissiamo sempre quello di fare meglio con il mio team e fare qualcosa di innovativo nella
nostra città.

Qual è la tua filosofia in cucina?

La mia filosofia di cucina è semplice. Parto da un ingrediente per poi svilupparci un’idea intorno, che sia un
vegetale, carne o pesce. Zero sprechi e zero compromessi puramente estetici che tolgano profondità all’
idea o al gusto. Amo lavorare ingredienti poveri e spesso dimenticati nelle cucine dei grandi ristoranti.

Gli ingredienti sardi immancabili nella tua cucina?

Gli ingredienti sardi che non mancano mai nella mia cucina sono sicuramente la bottarga, che spesso ci
autoproduciamo, i formaggi di pecora stagionati e non, ma anche la semola e i legumi, che spesso sono
sottovalutati. Oltre all’ importanza di lavorare con produttori locali e avere con loro un rapporto diretto che
ci consente di richiedere determinati prodotti, quando di stagione, piantati appositamente per noi.

Com’è il panorama ristorativo a Cagliari secondo te? Punti di forza e di debolezza?

Negli ultimi anni la ristorazione è migliorata parecchio, ci sono molte insegne interessanti e molti chef
lavorano con una bella filosofia. I punti di debolezza sono la presenza in città di troppi locali simili, a volte
dotati di poca identità, e a volte la poca collaborazione tra noi del settore.

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Pecorino Riserva Nera

La Sardegna è terra di grandi e pregiati formaggi ovini, è universalmente noto. Di pecorini sardi ne esistono
centinaia di tipologie, freschi, semi-stagionati e stagionati. L’abilità del casaro sta per lavorare
sapientemente il latte, cagliandolo con maestria, nel saper dosare il sale, portando alla desiderata
maturazione il formaggio. La stagionatura è infatti una dele fasi più delicate e il casaro lo sa.
Il Pecorino Riserva nera è una delle eccellenze dei pecorini sardi semi-stagionati; è infatti un formaggio
inconfondibile alla vista, all’olfatto e soprattutto al gusto. É caratterizzato a prima vista dalla tipica forma
cilindrica e dalla la sua crosta nera, ruvida al tatto. Al suo interno la pasta si presenta di color bianco-
paglierino, compatta e friabile. Non a caso è uno tra i più famosi formaggi sardi, in Italia e nel mondo. La
sua fama è dovuta al suo sapore aromatico, leggermente piccante e deciso, tipico della sua semi-
stagionatura. Così come non tutti i vini possono diventare delle pregiate riserve, non tutti i pecorini sardi
possono permettersi di diventare “Riserva Nera”, ed è proprio la diligente scelta delle migliori materie
prime da parte del casaro che è alla base della produzione di questo pregiato formaggio.
Il formaggio Pecorino Riserva nera è innanzitutto perfetto come “ospite d’onore” degli antipasti, insieme a
verdurine fresche e sottoli, composte di frutta e mieli delicati, salumi, buon pane.
Naturalmente Il Pecorino Riserva Nera è ottimo grattugiato su ogni pastasciutta e minestra, perché dà una
spinta al gusto anche del più semplice piatto di pasta o consommé.
La sua stagionatura, tra i 5 e gli 8 mesi, lo rende capace di essere abbinabile sia alle birre, dalle classiche alle
aromatiche, sia ai vini.
Si abbina magnificamente sia con vini bianchi e rosati sia con vini rossi corposi, che ne esaltano
naturalmente il sapore.
Il Pecorino Riserva Nera si conserva in frigorifero, avvolto in un telo di stoffa umido, per mantenerne intatti
sapore e consistenza e si consuma a temperatura ambiente, tolto dal frigorifero una mezz’ora prima del
consumo, in modo che sprigioni i propri aromi e sapori a 360 gradi.

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