Elementor #1353

by Stefano Pedron

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Sono gustosi fagottini dolci con ricotta, zucchero e zafferano di Sardegna, dessert primaverile e pasquale per eccellenza. L’etimologia del nome rimane un mistero. Più semplice e intuitivo risalire all’etimologia delle “cugine£ del Capo di Sopra, le casadinas, che devono al termine casu, formaggio, matrice del loro significato.

Delle casadinas parla anche la scrittrice Premio Nobel per la Letteratura Grazia Deledda; le definisce come “schiacciate di pasta dentellate” «con gli orli rivoltati e contenenti del formaggio fresco impastato con sale e zafferano […] Per Pasqua si usano regalare oltre le casadinas agnelli e carne». 

Con cosa accompagnare le pardulas nel menu pasquale? Sicuramente con un buon vino passito o delle bollicine sarde o infine con il liquore di Mirto.

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Pasqua quest’anno cade il 4 aprile, a inizio primavera, con giornate tiepide in cui speriamo di poter fare scampagnate nelle bellissime spiagge sarde e nei boschi, consumando squisiti pranzetti all’aperto e in compagnia dei nostri cari.

Non tutti sanno che la data della Pasqua è “mobile” a causa del complesso calcolo che va effettuato ogni anno. Essendo una festa di derivazione ebraica, cultura con calendario lunare, la Pasqua viene festeggiata ogni anno in una data differente poiché cade la prima domenica successiva al primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera.

In Sardo si chiama Pasca Manna, per distinguerla da Paschixedda, ossia Natale.

Quattro sono le valenze principali della Pasqua in Sardegna: quella cultuale cattolica, celebrata in chiesa; quella rituale dei sardi, con le processioni e i riti, alcuni di lontana ascendenza pagana; quella turistica, che ospiti turisti desiderosi di immergersi nell’atmosfera particolare del periodo e infine quella alimentare, ricca com’è la gastronomia sarda di ricette tipiche pasquali.

Il periodo pasquale in Sardegna è caratterizzato infatti da molti riti collettivi straordinari, a partire dalla Domenica delle Palme quando si donano palme intrecciate artisticamente. Durante la cosiddetta “Settimana Santa”, precedente la domenica di Pasqua, una serie di rituali vengono messi in scena dalle comunità dei paesi come delle città, a iniziare dalla lavanda del Giovedì Santo, che in alcuni paesi, tra cui Irgoli, Onifai e Galtellì si trasforma in sa suchena, Una cena a porte chiuse con piatti cultuali, che conserva una certa riservatezza e anzi mistero nello svolgimento. E poi il Venerdì Santo, con la via Crucis.

E ancora il rito de S’Iscravamentu (it. lett. schiodamento), ossia della deposizione dalla croce di Gesù Cristo e ancora la mattina di Pasqua S’Incontru (it.incontro), l’incontro in processione tra la statua di Cristo e quella della Madonna, molto partecipato.

Per tutto il periodo sono visitabili i cosiddetti sepulcros (it. sepolcri) nelle Chiese, che vengono decorati, solitamente con fiori, rami e soprattutto germogli di grano (nenniri), gli antichi giardini di Adone, rifunzionalizzati in chiave cristiana. Rami, germogli, fiori e nuovi nati (agnelli, pulcini ecc.) simboleggiano infatti la rinascita della Natura, dopo la pausa invernale. Hanno funzione beneaugurale e apotropaica.

La Settimana Santa viene rievocata un po’ in tutte le località della Sardegna, ma le celebrazioni forse più spettacolari sono a Cagliari, Alghero, Iglesias, Castelsardo e Cuglieri. Interessanti anche i riti e le processioni di Bolotana, Oristano, Villacidro, Bosa, Bortigali, Sassari, Mamoiada, Oliena, Orosei, Ossi, Ottana, Desulo, Sarule, Bortigali, Santulussurgiu, Aidomaggiore, Scano di Montiferro, Domusnovas, Sorso e Aggius.

Tra i dolci spiccano pardulas e casadinas (anche in versione salata), fagottini con ricotta o formaggio freschi. L’agnello sardo trionfa come secondo piatto, cucinato in molti modi diversi, principalmente con le verdure di stagione, dagli asparagi ai carciofi alle primizie degli orti… Come primi piatti è un trionfo di paste fresche fatte in casa con sughi di carni miste e l’immancabile salsa di pomodoro.

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Chiara Obino è un’atleta sarda di fama internazionale, che non ha bisogno di presentazioni: ha un medagliere imponente nel mondo dell’apnea; ha vinto otto campionati italiani assoluti, un bronzo ai Campionati del mondo, detiene tre record del mondo e otto record italiani, per cui è stata anche insignita della Medaglia d’Oro al valore sportivo dal CONI e fa parte della Nazionale Italiana di Apnea Outdoor.

Ha uno studio dentistico a Cagliari, la sua città, e due figlie in età scolare. Ma questo, come vedremo, non la rallenta ma la ispira e la porta ad alzare ancora di più la propria asticella.

Da sportiva: qual è tua dieta abituale? Quale prodotto sardo a cui non rinunci? 

Ovviamente una dieta molto salutare in cui sono banditi gli alimenti di complessa digestione e che non hanno alto valore nutritivo: niente fritture, condimenti pesanti, con besciamelle e panne. Questo per due tipi di esigenze: una è quella di alimentarmi con prodotti ad alto valore nutritivo, ho un carico di allenamento e di lavoro importanti…Poi mi servono alimenti digeribili. per lo stesso motivo. Ogni giorno mi alleno, pranzo, torno al lavoro… la gestione di questa quotidianità richiede che sia sempre lucida. Non posso permettermi la sonnolenza… Scelgo ogni singolo alimento e pasto con cura.

Ci sono un sacco di alimenti sardi che sono sani, la cucina sarda è salutare, semplice, adoro il pane frattau, che è un alimento sanissimo, con il pane carasau, l’uovo, il sugo di pomodoro… mangio tanto pesce, la cucina sarda ha molte preparazioni semplici, al sale, arrosto. Mangio tutto il fresco sardo, come frutta e verdura.

Il prodotto sardo che adoro e a cui non rinuncio sono le pabassinas, In generale amo i dolci con frutta secca, mandorle e uva passa.

Hai girato in tutto il mondo hai portato degli ingredienti o ricette provate fuori dalla tua Sardegna nella tua cucina casalinga?

Sì, la cosa più significativa che mi viene in mente è la mia abitudine di utilizzare il riso come un sostituto del pane; il riso è sempre presente a tavola, a pranzo e a cena: riso in bianco che si accompagna alle verdure ai legumi, ai calamari e alle seppie, adoro i piatti combinati, come anche verdura, carne e riso. 

Inoltre mi piacciono molto le spezie, come il curry e altre spezie non tipiche del nostro Mediterraneo.

Mi piace tutta la cucina orientale, quella araba, egiziana, paese in cui vado spesso, con tanti legumi, come lenticchie, ceci, sia la cucina asiatica, con tanto riso e spaghetti di riso.

Cosa ti manca di più in questo periodo così complicato, forse unico nella storia dell’umanità? Andare fuori a cena, viaggiare, contatti con parenti e amici…

Non ho dubbi: viaggiare! 

Vado veramente poco a cena fuori, mentre viaggio tanto e quindi quello mi manca, dai viaggi lunghi a quelli brevi, mi mancano i viaggi per i corsi di aggiornamento della mia professione, prima del Covid ero abituata a viaggi di trasferta almeno due volte al mese. Mi pesa tanto non viaggiare come senso di limitazione alla mia libertà, di crescere, di migliorarmi, di accedere a possibilità di crescita; viaggiare per me è un discorso ad ampio respiro.

Lo scorso anno almeno sono riuscita a partecipare come speaker a TEDx a Padova.

L’essere donna ha condizionato la tua carriera sportiva? 

Ho sempre reputato l’essere donna un grande privilegio, anche se porta con sé delle difficoltà aggiuntive: considero l’essere donna una caratteristica molto positiva che porta con sé difficoltà gestionali. 

Non essendo sportiva professionista faccio allo stesso tempo la mamma, la professionista e la sportiva, è complicato ma anche altamente gratificante, quindi trovo in questo ciò che mi porta a continuare… Come la maternità del resto, la mia sensibilità femminile che mi porta a conciliare i ruoli nel mio modo, con la capacità di mettermi in discussione, attitudine tipicamente femminile, rispetto agli uomini. Trovo che tutto questo sia un valore aggiunto. Sono felice di aver trovato una chiave femminile di conciliazione, è un cammino in salita ma di grande soddisfazione. 

C’è poi la tematica delle donne nello sport, che sono più in difficoltà, meno valorizzate rispetto ai colleghi uomini; ad esempio per una sportiva è più difficile trovare sponsor adeguati e sponsorship soddisfacenti, è più difficile avere contratti favorevoli rispetto alle controparti maschili. È un problema più sociale che sportivo, le aziende trovano più rappresentativo un uomo che una donna come testimonial. 

Le donne a volte sono poco coese nel voler rappresentare una realtà di donna diversa, anche con caratteristiche di struttura, forza, resilienza… Spesso i modelli prevalenti sono basati su altro: ad esempio sulla donna che ha bisogno di essere protetta, fragile, debole o sulla donna che ha una forte fisicità o che usa la fisicità per affermarsi. Quindi di fatto è come se si desse meno valore ad altre caratteristiche, sono stereotipi duri a morire… Ci sono anche donne che portano avanti questi modelli, quindi c’è una contraddizione nostra interna… Alla base ci sono problematiche anche di tipo educativo, legate al sistema valoriale in famiglia. C ‘è molto lavoro identitario da fare. 

Quali sono i tuoi progetti (sportivi e non) per il prossimo futuro?

Per il futuro ho sempre tanti progetti e ciò mi rende felice ed entusiasta, mi permette di avere una visione del futuro sempre bella e rosea. Anche sul lavoro, nello studio dentistico, lavoriamo per migliorare e crescere, è il mio stile, cerchiamo stimoli di positività, sempre. 

C ‘è anche un progetto di tipo editoriale che sta prendendo forma, lavorerò anche a questo nel 2021, per fargli vedere la luce nel 2022. 

I progetti sportivi? Sto programmando una nuova stagione agonistica; lo scorso anno mi sono comunque allenata come se dovessi fare gare, poi purtroppo a causa della pandemia non è stato possibile viaggiare. Quest’anno ho deciso di puntare ad alcune gare, che sono ancora in calendario, l’apnea non è uno sport di contatto e si svolge all’aperto quindi si potrebbero svolgere. Se ci faranno viaggiare si potrà gareggiare… Intanto punto ai Campionati del mondo a fine settembre, miro a confermarmi sul podio e a migliorare il colore della medaglia. Come tappe di avvicinamento penso ad una gara in Egitto a maggio e forse ad una gara in Egitto a luglio. In questo progetto non sono sola: Riccardo Mura è il mio allenatore; anche se adesso è su Luna Rossa in Nuova Zelanda ci sentiamo spesso. Luca Frau è il mio preparatore atletico e mi segue da vicino. 

Da alcuni anni faccio la speaker e la conferenziera motivazionale e ispirazionale per alcune aziende; mi capita di usare il mio sport, l’apnea, come metafora della vita: se ci pensi in questo periodo siamo tutti un po’ in apnea: ci manca l’aria, la fiducia; dobbiamo avere fiducia di tornare a riemergere e a respirare. E succederà. 

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La pasta sarda era famosa sin dal Medioevo: veniva richiesta ed esportata nei principali porti della penisola. Non è un mistero che su filindeu sia una pasta che ha -a occhio e croce- una tecnica millenaria di lavorazione: si tratta infatti di capelli d’angelo filati esclusivamente a mano, essiccati al sol e poi cotti brevemente in brodo di pecora e conditi con abbondante pecorino sardo.

Le paste sarde si dividono in fresche, ripiene (come i culurgiones d’Ogliastra) e non, e in paste essiccate. Queste ultime sono sempre state oggetto di esportazione, sino all’Età moderna, dove erano richieste alle mense della nobiltà per il fatto di essere prodotte interamente a mano e avere forme molto graziose e belle a vedersi: uccelli, creste di gallo, fiori di varia foggia, anellini intrecciati eccetera. Tra le paste essiccate più note abbiamo la fregola (in sardo fregula) di varie grandezze e formati, i macarrones de busa (it. bucatini), e i malloreddus (it. gnocchetti sardi), anch’essi di varie grandezze.

La pasta sarda viene fatta con sola semola di grano duro, sale marino e acqua di fonte, a volte aromatizzata e colorata con lo zafferano sardo, produzione di cui è ricca l’Isola.

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Il Carnevale in Sardegna costituisce uno dei momenti festivi più sentiti e celebrati dai sardi. Maschere, cortei, questue infantili, feste, carri allegorici, roghi rituali, falò e molto altro caratterizzano il Carnevale sardo, che viene festeggiato in tutta l’Isola, con particolare inclinazione nel Nuorese, dove esistono maschere e riti ancestrali portati avanti con passione dalle comunità locali.

In concomitanza con il Carnevale si preparano molte pietanze, quasi sempre dolci e fritte: tra queste le tzipulas (zeppole), i parafrittus, letteralmente “frati fritti”, così chiamati perché tondi e con una bordura più chiara che ricorda la cintura che stringe il saio; e ancora gli orrubiolus (palline di ricotta insemolate e fritte), le leggere “chiacchiere”, comuni ad altre regioni, sia pure con nomi diversi, e naturalmente i ravioli dolci.

Questi ultimi sono fatti della pasta dei ravioli, solitamente più piccoli di formato, ripieni di ricotta zuccherata o di cotognata, o di pasta di mandorle, o di altri ripieni; i ravioli vengono fritti e poi decorati con zucchero o velo e/o polvere di cacao per gli irriducibili del cioccolato.

Ad accompagnare i dolci carnevaleschi i vini sardi da dessert, che spaziano dai passiti ai vini-spumante, sino ad un buon bicchiere di Vernaccia di Oristano, un abbinamento nel solco della tradizione.

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Non chiamatela fregola sarda per favore, che significa ben altro. La frégula o frégua del Campidano, chiamata succu al nord Sardegna, pistizzone nel nuorese, è una pasta versatile che si può cucinare immergendola nell’acqua bollente, come la comune pasta, oppure risottata, cuocendola appunto come il risotto. In qualsiasi modo la prepariate ricordate che ne esistono ben tre formati principali: piccola, media e grande.

La fregula con le vongole (cocciula in sardo) e le cozze è uno dei piatti più caratteristici della cucina sarda, la ricetta viene tramandata diligentemente e ogni famiglia ne dà la propria interpretazione. Le vongole più rinomate sono quelle nostrane di Marceddì, località in provincia di Oristano. L’Isola produce cozze di grande pregio.

Ingredienti per quattro persone: 250 g di frégula grossa, mezzo kg di vongole veraci (Ruditapes decussatus), mezzo kg di cozze sarde, 200 g di salsa di pomodoro, un paio di spicchi d’aglio, olio evo sardo q.b., un mazzetto di prezzemolo, peperoncino e sale q.b.

Preparazione: dopo aver acquistato vongole e cozze dal pescivendolo di fiducia si sciacquano velocemente sotto acqua corrente. Poi si mettono in un tegame sul fuoco per farle aprire, scartando quelle che rimangono chiuse. Si fanno filtrare vongole e cozze con un colino fine e il brodino raccolto si tiene perché va messo nel sughetto. Intanto si fa cuocere a mezza cottura nell’acqua salata lafrégula, che poi andrà messa nel sugo per terminare la cottura.

Nel frattempo si rosolano gli spicchi d’aglio nell’olio, si unisce il pomodoro e un po’ di prezzemolo, il brodino con le vongole e le cozze già sgusciate, e si versa la frégula. Conviene tenere un po’ d’acqua di cottura a parte nel caso servisse ad allungare un po’ il sugo. Pochi minuti ed il piatto è pronto.

Si tiene da parte qualche guscio pulito per guarnire il piatto insieme al rimanente prezzemolo fresco. Il vino da abbinare è chiaramente bianco, perfetti Vermentino o Nuragus.

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Bottarga: iniziamo dal caratteristico nome, c’è chi dice derivi dall’arabo c’è chi propende come me per la derivazione dal verbogreco taricheuo (ταριχευω), che significa “essiccare”.  

È una preparazione sicuramente antica, che somma due metodi semplici ed efficaci per conservare il pescato a lungo: salagione ed essiccamento. Così le pregiate sacche ovariche del muggine (Mugil cephalus) – secondariamente del tonno- mantengono inalterate le proprie caratteristiche organolettiche e nutrizionali a lungo; la preparazione naturalmente è manuale, artigianale e tracciabile.

La bottarga consente un uso assai creativo in cucina: intera (in baffe) può essere tagliata a fettine generose e abbinata a crudités come carciofi, finocchi, arance, oppure consumata semplicemente con olio evo e pane tiepido; grattugiata fresca si presta ad essere un ottimo condimento per la pasta, e una rifinitura chic su piatti di carne, di pesce e pizze d’autore.

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Claudia Rabellino Becce

Avvocata, autrice, moglie e mamma in ordine sparso. Osservatrice della società contemporanea. Cagliaritana per scelta. Per Morellini Editore ha scritto “Cagliari al femminile” (2018) e, a quattro mani con la giornalista Michaela K Bellissario, “Felici a 50 anni. E se fosse una golden age?” (2019). Sostiene l’empowerment femminile e ama scrivere di donne. È coautrice del progetto “We women” e contributor per il magazine online “Neoque” e per “Donna Oggi” de l’Unione Sarda.

Cosa diresti dell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle?

Innanzitutto, una considerazione: i lockdown ci hanno fatto (ri)scoprire il valore del cibo e della convivialità. Il confinamento ci ha penalizzato nella nostra dimensione sociale.  Una delle prime cose che abbiamo fatto durante la chiusura della scorsa primavera è stata affidarci al comfort food, preparando dolci, pasta, pane, pizza nelle nostre cucine e uno dei primi desideri che abbiamo realizzato nel tornare alla (nuova) normalità è stata concederci un pasto al ristorante.

Quali sono a tuo parere i cambiamenti più rilevanti del 2020 e trend 2021 in ambito HORECA?

Alcuni cambiamenti sono sotto gli occhi di tutt*. Abbiamo visto un’accelerazione nella diffusione dell’home delivery e del take away che, ragionevolmente, continuerà anche nel 2021. La ristorazione tradizionale, però, conserverà sempre un ruolo centrale, soprattutto nel soddisfare quell’esigenza di socialità che rappresenta un bisogno primario per ogni essere umano. A cambiare saranno gli spazi, in parte già ridisegnati per consentire il distanziamento sociale.  Abbiamo iniziato a privilegiare i locali in grado di offrire sistemazioni all’aperto in tutte le stagioni. Le analisi di mercato evidenziano l’importanza di venire incontro all’esigenza, anche psicologica, dei clienti di sentirsi al sicuro. Le strategie di comunicazione e marketing dovranno tenere conto di tutti questi aspetti e incentrarsi sull’importanza non solo di attrarre nuovi clienti ma di fidelizzare quelli di “prossimità”, creando una relazione di fiducia, con offerte sempre più personalizzate, custom made, anche in termini esperienziali.

Nell’Hotellerie una delle strategie già in atto che ho sperimentato personalmente è quella di potenziare il room service, offrendo servizi aggiuntivi che consentano, per esempio, di godere di tutti i comfort di un’esperienza gourmet nell’intimità e sicurezza della propria camera.

La pandemia ha cambiato il nostro rapporto con il cibo, secondo te?

Un articolo apparso recentemente sulla rivista Forbes ha evidenziato un incremento dell’attenzione dei consumatori (soprattutto nella fascia over 50) al connubio tra cibo, benessere e salute, con una sempre crescente predilezione per i prodotti biologici o comunque di qualità certificata. Questo influenza la scelta del cibo non solo nel quotidiano. Si uscirà meno, cercando di mangiare meglio. Qualità sarà la parola chiave in grado di fare la differenza anche nella selezione naturale che il mercato della ristorazione inesorabilmente farà come conseguenza della crisi innescata dalla pandemia.

Le nuove tecnologie stanno conquistando tutti i settori, giusto?

Sì, anche nella ristorazione un ruolo fondamentale lo giocherà la digitalizzazione: stiamo già sperimentando i menù QR Code, in futuro oltre alle app di prenotazione, home delivery e take away saranno sempre più utili gli strumenti di gestione dei flussi di clientela in chiave di distanziamento sociale, di elaborazione dei dati personali e di creazione di esperienze personalizzate.

Pensiamo per esempio alla possibilità di prenotare in anticipo non solo il tavolo, ma anche il menu del nostro pasto, con indubbi vantaggi anche per il ristoratore in termini di organizzazione della cucina. Si tratta di acquisire abitudini nuove. In questo senso la pandemia sta accelerando processi che avrebbero richiesto più tempo per diventare consuetudini.

Un consiglio per le scelte nella nostra routine quotidiana?

Prediligere i negozi di quartiere e i prodotti del nostro territorio, a km 0 o comunque italiani, ricordando che cibo, vino e agroalimentare in generale fanno parte di quel Made in Italy che rappresenta l’eccellenza del nostro Paese nel mondo.

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Citato nella Bibbia, venerato dai Greci, la pianta del mirto (Myrtus communis) è caratteristica della flora mediterranea ed è una delle essenze più pregiate della Sardegna. Troviamo bacche di mirto nei siti archeologici preistorici sardi, quando l’agricoltura era agli inizi e la raccolta di erbe e piante spontanee era complementare nella dieta quotidiana.

I Greci facevano derivare il mirto dalla bellissima ninfa Myrsine, e cingevano le teste degli sposi con corone di mirto, come simbolo beneaugurale, perché è una pianta profumata da cui si ricava un liquore inebriante e sensuale.

Il Liquore di mirto chiude idealmente i pasti sardi, estivi ed invernali.

Le foglie e i rametti di mirto vengono usati per aromatizzare molte pietanze, come carni e selvaggina e come ornamento dei piatti.  Raro ed elegante il miele di mirto. Il mirto, in particolare l’olio essenziale di mirto, ha proprietà antisettiche, balsamiche, antiinfiammatorie e astringenti.

Il mirto si presenta come un cespuglio sempreverde, le cui coccole a maturazione sono viola scuro, ricche come sono di benefici antociani.

Non tutti sanno che esistono diverse cultivar di mirto e anche la variante a bacca bianca. Inoltre anche dai fiori si può ricavare un liquore, così come dalle foglie.  Le bacche si raccolgono tra novembre e gennaio, rigorosamente a mano.

Il mirto fatto in casa: la ricetta

Tecnicamente il Mirto di Sardegna è un liquore dal colore rosso ottenuto dall’infusione idroalcolica di bacche di mirto, di cui conserva il caratteristico profumo, con l’aggiunta esclusivamente di dolcificanti come zucchero o miele. È dotato di particolari proprietà digestive e viene consumato preferibilmente freddo, almeno d’estate. D’inverno si consuma a temperatura ambiente come liquore da meditazione, possibilmente accompagnato da dolci sardi a base di mandorle.

Il grado alcolico del liquore è compreso fra 28% e 36% vol. Parecchie famiglie sarde si dilettano a raccogliere le bacche di mirto in campagna e a produrre il mirto fatto in casa.

Per fare il Liquore di mirto fatto in casa consigliamo 1 kg di bacche fresche per ogni litro di alcool, a cui si aggiunge poi un quantitativo di acqua quasi pari. La quantità di zucchero semolato deve essere circa di 500/600 g.  Le fasi della preparazione sono: la macerazione delle bacche con l’alcool, la delicata pressatura delle bacche dopo un mese di macerazione, aggiunta dello sciroppo di acqua e zucchero, qualche settimana di pazienza e poi l’elisir di Sardegna è pronto da gustare.

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Immaginate di essere in Sardegna, respirando l’aria che profuma di mirto, corbezzolo maturo, ginepro; in lontananza il rumore del mare, il calore del sole sul viso, una tavola imbandita di cibi e vini semplici e genuini: un calice di Cannonau in mano, un piatto di formaggi e affettati davanti a voi.

Natale 2020 è all’insegna del pranzo casalingo ma con prodotti di eccellenza, Natale 2020 è desiderio di bei ricordi di vacanze passate e voglia di vacanze future, in posti meravigliosi come la Sardegna. 

Oggi tutto ciò è possibile attraverso la degustazione dei prodotti Imprentas, organizzati in un vero e proprio menu di Natale, vediamo come.

Per antipasto i formaggi e i salumi Imprentas, accompagnati dalla bottarga in baffa tagliata sapientemente a fettine. Un suggerimento: accompagnatela con carciofi freschi tagliati a spicchi e un goccio di olio evo Imprentas.

Come primo piatto le lorighittas Imprentas, deliziosi anelli artistici, accompagnate da un sugo di pomodoro semplice o con ragout d’agnello.

Immancabile come seconda portata i culurgiones, fagottini di pasta che racchiudono un goloso ripieno di patate e formaggio… conditeli con semplice olio evo Imprentas e una spolverata di Pecorino Romano.

Per secondo le carni Imprentas arrosto: l’agnello è il re degli arrosti, e si accompagna magnificamente alle creme di verdura Imprentas. 

Ci attendono due tipi di dessert al pranzo di Natale. Per iniziare, uno dei Panettoni Imprentas, c’è l’imbarazzo della scelta tra Panettone al mirto, panettone all’Aranzada e Panettone cioccolato fondente e arancia, e poi, per il secondo momento di coccola, dopo il caffè, un vassoio di dolci della tipica pasticceria sarda per stupire e deliziare i commensali. 

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