Elementor #1353

by Stefano Pedron

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In Sardegna l’allevamento del suino è una pratica millenaria, così come la caccia al cinghiale. I
salumi più importanti naturalmente sono a base di carne di suino, ma non mancano innovazioni di
prodotto come i salumi di pecora.
I ‘pezzi forti’ delle carni sarde sono costituiti anche da altri prodotti, come sa cordula e sa trattalia,
tipiche di una cultura agropastorale di cui dell’animale si consumavano tutte le parti compreso il
quinto quarto.
Una leccornia è costituita poi da sua maestà su proceddu o maialino da latte.
Quest’ultimo è ritenuto un must della ristorazione tipica e tradizionale e la sua rinomanza ha
varcato il mare, insieme al formaggio pecorino, al pane carasau, alla seada, al liquore di Mirto, ai
vini Cannonau e Vermentino e ad alcuni altri prodotti tipici della Sardegna.
Anche la pecora bollita, “in cappotto”, ossia accompagnata da cipolle e patate, è un piatto
identitario tipico di feste e sagre isolane.
In Sardegna esistono alcuni eccellenti salumi, ancorché forse poco conosciuti, che tra l’altro fanno
parte dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) della Sardegna censiti dal MIPAAF.
Tra di essi spiccano il Guanciale, la Mustela, il Prosciutto di pecora, il Prosciutto suino, la Salsiccia,
nelle sue varianti con semi di finocchietto, semi di anice e mirto, e il Sanguinaccio.
Le lavorazioni sono artigianali, messe a punto da alcuni piccoli salumifici locali, che confezionano
salumi di pregio come il violino o Prosciutto di pecora, il Salame di pecora (o capra) e infine il
pregiato Lombo di pecora.
Le pecore provengono da allevamenti semibradi e perciò hanno una carne saporita e genuina, per
cui i salumi mantengono inalterate le proprietà organolettiche e funzionali di queste carni semplici e
naturali, dal sapore unico.

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Intervistiamo Mariano Murru, enologo direttore di Argiolas winery di Serdiana, la celebre maison del Turriga e di altre eccellenze enoiche.

Cosa conta per diventare un protagonista del mondo del vino? Dai un consiglio ad un tuo giovane collega che si affaccia nel mercato del lavoro?

Direi che l’impegno , la costanza, la determinazione,la serietà, la professionalità, nonché una buona dose di passione, sono fattori essenziali per poter raggiungere risultati importanti sul lavoro e nella vita.
Gli direi che siamo molto fortunati nel fare un lavoro con tante responsabilità ma anche ricco di soddisfazioni.
Soddisfazioni che arrivano prima della notorietà e dei riconoscimenti, in quanto ogni anno, possiamo valutare il lavoro svolto e i risultati raggiunti in maniera concreta; fortunati , perché oltre agli aspetti tecnico – scientifici nel nostro lavoro c’è anche una parte importante di creatività, propria ed esclusiva di ognuno di noi , che si può esprimere attraverso l’elaborazione e interpretazione del vino ; siamo in un certo qual modo anche un po’ artigiani e un po’ artisti; e siamo sempre di più ambasciatori dei nostri prodotti e dei nostri territori.

Il mondo del vino sardo: quali punti di forza?

La Sardegna e’ una regione ricca di biodiversità, con un patrimonio di vitigni importantissimo che costituisce un vero e proprio tesoro per la produzione vitivinicola sia attuale che futura.
Una regione in grado di esprimere un insieme variegato di prodotti, che vanno dagli Spumanti ai bianchi freschi, ai bianchi e rossi strutturati per finire con ottimi vini da dessert ed eccellenti vini a carattere ossidativo. Oggi più che mai L’ identità territoriale è uno degli obiettivi primari del produttore e dell ‘enologo.
Il consumatore è sempre più attento e curioso e predilige i vini che hanno un forte legame con il territorio di provenienza. Il vino non è più solo una bevanda , ma porta con se i paesaggi, la storia, le tradizioni di una regione vinicola.
La tecnologia deve quindi aiutare sia in vigna che in cantina ad esprimere al meglio le peculiarità dei nostri vitigni  senza  stravolgerne le caratteristiche. Per fare un esempio pratico, L’ utilizzo del freddo nel ciclo di lavorazione delle uve bianche, ha contribuito fortemente all ‘ incremento delle note fruttate e floreali , evitando che le alte temperature e gli enzimi ossidativi andassero ad intaccare il patrimonio aromatico contenuto nelle uve al momento della raccolta e alla longevità del vino.
La qualità ad esempio del Vermentino, è migliorata notevolmente negli ultimi decenni, ma rimane sempre ben caratterizzato territorialmente e facilmente distinguibile dal Vermentino prodotto in altre regioni.Possiamo affermare comunque con certezza che il miglioramento delle strutture di trasformazione, la migliore preparazione ed aggiornamento dei tecnici che operano in vigna ed in cantina , nonché la nascita di un nuovo spirito imprenditoriale consapevole delle grandi potenzialità, hanno contribuito fortemente alla crescita di tutto il comparto vitivinicolo isolano raggiungendo vette qualitative ed apprezzamento nei mercati, impensabili fino a qualche decennio fa; Risultati che se adeguatamente supportati dalla promozione di tutte le eccellenze della nostra bellissima isola ci permetterebbero di posizionarci tra le regioni vitinicole più interessante e riconosciute dal punto di vista qualitativo  livello nazionale ed internazionale.

Per favore abbina per i nostri lettori qualche piatto identitario sardo con i vini giusti?

Mio padre è sempre stato un grande appassionato di pesca, dunque in casa il pesce non è mai mancato! Di seguito alcuni piatti  a base di pesce che apprezzo particolarmente:Antipasto : bottarga di muggine con contorno di carciofo spinoso e un filo di olio evo. A questo piatto abbino molto volentieri lo  spumante metodo classico da uve Nuragus.Primo piatto: fregula con le arselle, a questo piatto della tradizione abbinerei con piacere un buon Nasco di Cagliari nella versione secca da pasto.Secondo piatto: capone con patate e zafferano , qui sposerei con grande soddisfazione del palato un Vermentino affinato in piccoli fusti di rovereDessert:  Gateau di mandorle sarde al profumo di limone; abbinerei volentieri un Passito da uve Nasco e Malvasia.

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I pasticceri sardi hanno sempre avuto una mano fatata per quel che riguarda la lievitazione della pasta; vuoi perché la consuetudine di utilizzare semole e farine di qualità con il lievito madre è millenaria, vuoi perché esistono una serie di lievitati locali, come su pani ‘e saba, di antica schiatta.

Così ormai da più di una ventina d’anni diversi appassionati della lievitazione hanno iniziato a cimentarsi nella preparazione domestica del panettone artigianale, facendolo poi diventare in alcuni casi una professione.

I segreti del panettone sardo fatto in casa sono due: la lunga lievitazione con la pasta acida locale (su frammentu dal latino fermentum) e l’utilizzo di alcuni prodotti tradizionali per arricchire l’impasto. Nascono così panettoni alla Pompìa, agrume locale, presidio Slow Food, con la ricotta e il miele sardi, profumato allo zafferano di San Gavino, il panettone al Mirto, con le mandorle della Marmilla, eccetera.

Panettoni che portano impressa l’identità della Sardegna con il loro gusto originale e unico.

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Tra i ​vini rossi sardi ​più apprezzati ​si collocano nella top ten sicuramente il Cannonau, il Carignano del Sulcis, il Monica, che sono vitigni sardi, e l’IGT Isola dei Nuraghi. Vediamoli insieme

Cannonau

È un vitigno sardo, strettamente imparentato con il Grenache francese e la Garnacha spagnola. I vini che si ricavano da questa bacca rossa sono intensi e profumati, vessillo dell’identità enoica dell’Isola. Si coltiva in tutta l’isola, con predilezione per alcune zone site in Barbagia, Ogliastra e Sardegna sudorientale. Numerose le etichette di Cannonau Doc, alcune delle quali raffinatezze per i collezionisti di vini pregiati.

Carignano del Sulcis

È un vitigno della Sardegna Sud Occidentale, dove in alcune località, a terreno sabbioso, il Carignano cresce anche “a piede franco”. Se ne ottengono vini rossi di grande finezza, che si possono accompagnare a piatti di terra, come carni stufate o arrostite, e al famoso Tonno rosso sulcitano. Se ne ricavano numerosi vini Doc di grande fascino, ricercati dal mercato internazionale dei cultori del buon bere.

Isola dei Nuraghi

È una Igt, ossia una Indicazione Geografica Tipica, una produzione certificata con bollino europeo che contiene delle etichette di sicura presa sul consumatore tra cui il celebre Turriga della Cantina Argiolas di Serdiana, con uvaggio principalmente di Cannonau e Carignano.  

Sotto il “cappello” Isola dei Nuraghi troviamo: il bianco, il rosso, il rosato, il vino novello, il bianco frizzante, il rosso frizzante e il rosato frizzante e ancora lo spumante bianco, lo spumante rosato e lo spumante rosso. Chiudono i vini da meditazione o da dessert: l’Isola dei Nuraghi da uve stramature bianco, l’Isola dei Nuraghi da uve stramature rosso, l’Isola dei Nuraghi passito bianco e l’Isola dei Nuraghi passito rosso.

Monica di Sardegna

Il vitigno Monica, coltivato in tutta l’Isola sin dall’antichità, dà vini, a marchio Doc, dal caratteristico colore rosso rubino chiaro, brillante, tendente all’amaranto con l’invecchiamento, e profumi intensi e gradevoli. Molto numerose le etichette, non c’è che l’imbarazzo della scelta!

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Papassini, amaretti, torrone, aranzada e tanti altri: sono più di cento le tipologie di dolci sardi che la Sardegna sa esprimere attraverso l’artigianato dolciario. Da Sassari a Cagliari, dalla costa dell’Oristanese a Nuoro e dintorni ogni borgo ha il proprio dolce tipico, legato ad una festa.

Non c’è festa in Sardegna senza consumo di dolci. La produzione è anche legata alla stagionalità, alla disponibilità delle materie prime. Alcune preparazioni hanno origini che si perdono nella notte dei tempi, altre sono di origine latina, altri dolci sardi sono di origine medievale o risalgono al Settecento: tutta la pasticceria sarda è curata nei minimi dettagli: dagli ingredienti alla cottura, sino alla decorazione.

Papassini

Papassini tipici Sardi

Sono dolci tipicamente autunnali, composti come sono con uva passa (pabassa in sardo) da cui il nome pabassinos o papassinos, italianizzato in papassini. Secondo le zone i papassini vengono arricchiti con mosto (sapa), e/o mandorle, nocciole, noci.

Il primo e due novembre i papassini fanno bella mostra di sé sulle tavole festive dei Sardi, costituendo il pasticcino di fine pasto ideale, accompagnati da un vino liquoroso o da un liquore fatto in casa.

Amaretti Sardi ​

Dolci sardi: confezione di Amaretti Sardi

In Sardegna si contano oltre 40 cultivar locali di mandorle. Non sorprende perciò la ricchissima produzione a base di mandorle dolci e amare, uno dei fiori all’occhiello della pasticceria tradizionale sarda. Gli amaretti sardi sono particolarmente friabili e gustosi, si accompagnano a passiti locali o ad una buona Malvasia di Bosa.

Torrone Sardo ​

Il torrone sardo è il tipico dolce delle festività invernali, in primis Natale. Portato in Sardegna nel tardo Medioevo dagli Spagnoli, che ressero l’isola per quasi quattro secoli, si compone di mandole o noci o nocciole, miele sardo e due sottili ostie che suggellano quelle bontà.

Del torrone si tratta diffusamente in un importante documento sardo manoscritto, del 1614, in catalano, che distingue tra torrone bianco (torron blanc) e torrone nero (torron negre), conservato all’Archivio di Stato di Cagliari. Grazie a quel documento sappiamo anche il nome dello speziale che commissionò quelle bontà, tale Battista Sollai.

Da secoli la ricetta del torrone viene fedelmente riprodotta dai torronai, artigiani che poi lo vendono confezionato o sfuso alle sagre e alle feste.  Le fonti sarde sono piene di riferimenti a questi torronai. Questa risale al 1836 circa: «Torronari. Chiamansi così i fabbricatori di torroni che sono una composizione di mandorle, o noci, o nociuole, ammassate col miele e le ova. Essi fabbricano pure l’aranciata, fanno rosoli, siroppi, che portano nelle feste campestri».

Aranzada

Aranzada dolce tipico della Sardegna all'arancia.

I dolci sardi sono unici e peculiari e al tempo stesso possono avere una origine “internazionale”: è il caso de s’aranzada. Risale infatti al XIV secolo una delle prime ricette scritte della ranciata, nota preparazione a base di scorze di agrumi caramellate nel miele, scritta in dialetto veneziano, simile alla confettura delle listarelle d’arancia in s’aranzada nuorese, intitolata dall’anonimo veneziano autore della ricetta “A fare ranciata bona e delicata”.  Oggi quell’antica ranciata, patrimonio della pasticceria medievale europea,si è mantenuta quasi inalterata in Sardegna con il suo sapore fine, legata a battesimi, matrimoni, doni importanti e festività grandi. Il segreto dell’aranzada è la sua semplicità: scorze d’arancia tagliate a listarelle e confettate nel miele, unite a mandorle sarde.

Bianchini

I bianchinos (it. bianchini) o marigosos corrispondono pressappoco alle meringhe. I bianchini sono
prodotti della pasticceria tradizionale sarda e sono costituiti da pochi ingredienti: albume d’uovo,
zucchero, qualche mandorla, tostata e a listarelle, scorza di limone o arancia a filetti. I bianchini
vengono lavorati sapientemente e a lungo, e cotti in forno con accortezza. È la cottura infatti il
segreto della loro morbidezza all’interno, della spumosità e bontà: si cuociono a bassa temperatura e
a lungo, così che il cuore rimanga tenero, e l’esterno croccante.

Dolci allo zafferano

In Sardegna sono numerosi i dolci arricchiti da zafferano locale, una spezia straordinaria, coltivata
sull’Isola sin dal Medioevo, che dà un sapore inconfondibile a tutte le pietanze a cui si accompagna.
La regina dei dolci allo zafferano è senza dubbio la pardula (it. formaggella). La pardula è una
scodellina pizzicata ai bordi, a base di pasta violada (pasta tradizionalmente di semola e strutto, in
misura di 10:1) che contiene un goloso ripieno di ricotta o formaggio fresco, aromatizzato da
zucchero e zafferano.

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William Pitzalis è uno chef professionista che ha alle spalle molta gavetta e tante soddisfazioni. Oltre ad essere un volto noto al pubblico televisivo, per aver partecipato a numerose trasmissioni, è anche lo chef della società Cagliari calcio.

Racconta ai nostri lettori quali sono le tue attività principali…

Da cuoco professionista, la mia vita è particolarmente impegnata. Al Cagliari Calcio dedico la maggior parte delle mie energie e risorse, così come all’Accademia del Buon Gusto, al Borgo tremani, all’associazione fiocco bianco azzurro, all’IPM di Quartucciu, al Nido della Pavoncella o altri luoghi in cui può essere utile la mia presenza. Il Cagliari occupa sempre il primo posto!

Gli ingredienti sardi che non mancano mai nella tua cucina?

Olio extravergine d’oliva, pomodoro fresco e semola. Quest’ultima perché amo lavorare la pasta. Dalla semina alla mietitura, è bene ricordare che dietro un pugno di semola c’è una grande storia di tempo, lavoro e fatica. 

Quali sono i segreti di una alimentazione sana, equilibrata e “sportiva”?

Una cucina di alta qualità, fatta di prodotti rigorosamente Sardi e a km zero. Il segreto è la stagionalità, nella frutta, verdura e ortaggi. Tanti legumi e cereali.

Le cotture che prediligo sono al vapore e al cartoccio. 

Ci dai una ricetta del benessere?

Insalata di fregula, tonno e menta: 

Far bollire la fregula;

tagliare il tonno fresco a piccoli cubetti;

cuocere a vapore oppure in padella a fuoco vivace; 

versare in un contenitore il succo di limone, il tonno cotto, olio, sale pepe e un trito di menta; 

lasciar riposare per 20 minuti, scolare e unire tutti gli ingredienti con la fregula.

Un piatto completo dal punto di vista nutrizionale e di gran gusto, perché mangiare è sì una necessità ma ciò non toglie che debba essere anche un piacere!

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Il pane è uno straordinario manufatto conosciuto universalmente; in Sardegna costituisce una delle massime espressioni artistiche del Mediterraneo. Sull’Isola infatti se ne contano più di 500 tipologie: coccoi, moddizzosu, civraxu, pistoccu, spianate e carasau sono quelle più note e diffuse.

Ogni pane ha la propria occasione di preparazione e consumo, e praticamente ogni Comune sardo, sono 377, ha il proprio pane tradizionale.

Uno dei pani più conosciuti è un pane biscottato, il pane carasau, tipico della Barbagia. Un pane lievitato che subisce una doppia cottura in virtù della quale diventa meravigliosamente croccante e ha una “shelf life” ossia una durata, di oltre sei mesi.

Questo pane dell’entroterra barbaricino ha una storia antica e affascinante, legata alla tradizionale transumanza dei pastori sardi e alla loro necessità di avere sempre con sé il pane. Grazie alla biscottatura potevano portarlo sempre appresso nei mesi costretti per lavoro fuori casa. Oggi come ieri il pane carasau si accompagna a salumi e formaggi, verdure e carni.

Il pane carasau può sostituire le classiche lasagne in gustose paste al forno declinate secondo la cultura gastronomica sarda, accompagnato da buon pecorino, brodo di pecora, finocchietto selvatico. Oppure nella ricetta de su pani frattau, con pane carasau, salsa di pomodoro, pecorino e un uovo fritto come golosa guarnizione.

Una particolarità, molto in voga al giorno d’oggi, è il pane carasau integrale che, grazie alle sue fibre e all’indice glicemico più basso, costituisce veramente uno dei tanti superfood dell’Isola di Sardegna.

Sino agli anni ’90 del secolo scorso il pane carasau si chiamava scherzosamente anche “carta da musica” o “carta musica”. La ragione? Chi dice sia dovuto al caratteristico suono che fa quando si sgranocchia, chi ne attribuisce la causa al colore dorato, e alla sottigliezza, come carta pergamena, carta su cui un tempo si scrivevano le note delle melodie. La parola in sardo, carasau, deriva invece dal processo di “carasatura” ossia di biscottatura.

Ricetta del pane carasau guttiau

Il pane carasau può costituire un ottimo accompagnamento all’aperitivo preferito, scaldato in forno con un po’ di olio evo e un pizzico di sale, diventando cosi guttiau, al confronto del quale impallidisce qualsiasi patatina in busta ed è la gioia dei commensali, di sicuro effetto e gusto.

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Si tratta forse del dolce più famoso della cucina sarda, un goloso tortello ripieno di formaggio aromatizzato con buccia di limone o arancia, che viene fritto e poi cosparso di miele. Per friggere perfettamente sa seada (detta anche sevada o sebada secondo le zone dell’Isola) abbondare con l’olio evo in modo che galleggi nella padella, una volta dorata da un lato girarla con una pinza sino a completa cottura. Va servita caldissima con miele millefiori o, per un gusto più deciso con miele di corbezzolo, il famoso miele amaro della Sardegna. Si può anche presentare come antipasto salato saldo, cosparsa a fine cottura da sale fino marino.

 

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La Sardegna è veramente l’isola dei formaggi, vanta un patrimonio ovino di oltre 3 milioni di capi e un numero di caprini che sfiora i 300.000 capi, e si colloca al vertice della produzione italiana dei formaggi pecorini e tra i massimi produttori di formaggi caprini.

Esistono decine di tipologie di prodotti lattiero-caseari sardi tradizionali, dai classici pecorini freschi, semistagionati e stagionati alle ricotte (fresca, salata, mustia) sino alle perette e trecce vaccine (anche i formaggi vaccini sono rinomati qui!), per non dimenticare lu yoddu (yogurt).

Al giorno d’oggi i moderni minicaseifici e caseifici sparsi sull’Isola consentono di produrre straordinari prodotti partendo dal latte di alta qualità sardo, naturalmente ricco di elementi probiotici e nutraceutici grazie alla pratica millenaria del pascolo semibrado e alla ricchezza dei pascoli sardi.

Vi sono aree, come il Marghine, in cui i ricercatori in primavera in pochi metri quadrati hanno individuato oltre 60 tipi di piante diverse, che apportano elementi di alto profilo nutrizionale agli animali al pascolo: ecco perché molti dei prodotti lattiero-caseari sardi stanno rivelando proprietà funzionali importanti, toccasana per il microbiota (microflora) intestinale. Questo è fondamentale nel mantenimento della salute dell’intero corpo e della tenuta del sistema immunitario: così contribuisce a combattere virus e batteri, come ribadito anche recentemente da illustri medici tra cui l’endocrinologo Giovanni Spera.

L’allevamento di ovini, caprini, bovini e conseguentemente la produzione di prodotti lattiero-caseari è plurimillenaria, risalente al periodo prenuragico.

Le fonti storiche medievali mostrano l’esportazione dei formaggi sardeschi alla volta del continente, e citano varie tipologie di formaggi, ivi comprese le perette vaccine, a testimonianza della molteplicità delle produzioni in terra sarda.

In Età moderna, ad esempio, i ricavi dal dazio sull’esportazione di formaggio, lana e cuoio consentivano alla Reale Amministrazione delle Torri (1581), istituita durante il periodo di dominazione Catalano-Aragonese, consentivano di pagare la difesa delle coste sarde dagli attacchi pirati.

Nel primo Settecento il Regno di Sardegna, sotto il casato sabaudo, mantenne un ruolo rilevante nell’allevamento del bestiame e della trasformazione del latte. Infatti le attività nell’Isola permettevano alle casse reali l’incameramento di ben 132.000 lire dalle gabelle corrisposte dai commercianti che esportavano dai porti sardi il formaggio del tipo in salamoia verso Napoli, Livorno e Marsiglia; del tipo delicato alla volta di Genova e Nizza e l’affumicato verso la Corsica e la Riviera Ligure. Le Regie Gabelle del Regno prescrivevano inoltre tariffe daziarie su altre tipologie casearie, quali il formaggio fino ed il formaggio intiero.

Arrivando ai giorni nostri il mercato dei prodotti caseari mostra vivacità e capacità di diversificare il prodotto e innovare i processi produttivi; il Pecorino Romano DOP del resto è il formaggio sardo più esportato al mondo, il Pecorino sardo DOP incarna i grandi saperi dei casari sardi e il Fiore sardo DOP richiama subito alla mente la millenaria sapienza artigianale isolana.

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La fregula (o fregola) sarda era già famosa nella prima metà del Novecento, quando nella famosa Guida Gastronomica d’Italia del 1931 leggiamo:

«Tipica minestra sarda è la fregula o succu, consistente in palline minutissime di pasta ottenuta con farina di semola piuttosto grossa, colorata con zafferano e cotta in brodo. Un vecchio proverbio suonava: “Coiamì ca sciu fai frégula” e cioè “Datemi marito che sono fare la fregula” la prima dote della massaia».

Questa minestra non ha ingredienti “fissi” se non la pasta appunto; i componenti variano in relazione alle consuetudini dei singoli paesi, della stagione in cui si prepara, della disponibilità di certi prodotti. La più semplice prevede di far cuocere la fregula in acqua salata bollente, e di condirla con un sughetto a base di soffritto di cipolla arricchito da tagli a scelta di carne di manzo o di maiale o di pecora. In primavera si riscontra la versione “vegetariana”, con verdure fresche, selvatiche o dell’orto e/o legumi.

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