Il formaggio con i vermi sardo è apprezzato e richiesto dai consumatori, sottobanco si intende, visto che il
consumo è illegale. Il nome in lingua sarda casu marzu in italiano significa formaggio marcio.
Il casu marzu è un formaggio ovino (meno spesso vaccino) intaccato dalla mosca del formaggio (Piophila
casei) che deposita le proprie uova nella pasta. Le uova si schiudono entro trentasei-quarantotto ore dalla
deposizione e le larve raggiungono il loro sviluppo in circa otto giorni, mentre sono necessarie più di due
settimane perché le larve diventino pupe e poi insetti adulti. La durata del ciclo vitale dipende dalle
condizioni ambientali: una temperatura 20-22°C è ideale per lo sviluppo delle larve. Le mosche sono
detritivore e si nutrono di materia in decomposizione. Le larve si muovono con caratteristici movimenti
saltatori e penetrano nel formaggio per mezzo degli enzimi presenti nella saliva, provocando la digestione
della pasta caseosa, che diventa così cremosa e piccante.
È la presenza di queste larvette nel formaggio a suscitare interesse, meraviglia o anche disgusto in chi si
avvicina per la prima volta a questo formaggio.
Il momento giusto per gustare il “formaggio con i vermi” è quando le larve sono piccole e attive e il
formaggio emana sentori di formaggio stravecchio misto ad un bouquet di spezie piccanti, profumi che
vengono confermati all’assaggio. Con il passare dei giorni il processo di proteolisi va avanti, le larvette
diventano pupe e a quel punto il cacio emana odore di ammoniaca ed è semiliquido: non più commestibile,
va gettato via.
La degustazione quindi, almeno per le prime volte, va effettuata in compagnia di un esperto, che conosce il
grado di giusta maturazione del prodotto a naso e a vista.
Un buon casu marzu può arrivare a costare anche quaranta euro al kg, chiaramente comprato direttamente
nello spaccio di un pastore casaro di fiducia.
Si può dire in conclusione che il casu fràzigu, altro nome sardo del formaggio con i vermi, sia il formaggio
sardo più noto al mondo, sebbene la vendita sia ufficialmente vietata, pur essendo anche uno dei Prodotti
Agroalimentari Tradizionali sardi riconosciuti dal MIPAAF.
Immagine di Shardan – opera propria, cc by-sa 2.5