L’intervistata di questo mese è una persona speciale; professionista della comunicazione, figura di spicco dell’Università di Cagliari e profonda conoscitrice del cibo sardo: è Elisabetta Gola.
Professoressa di Filosofia e teorie dei linguaggi nel Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia dell’Università degli studi di Cagliari, insegna anche Scrittura per i media digitali, Semiotica dei media, e comunicazione nel corso di infermieristica. Fa parte del direttivo della Società di Filosofia del Linguaggio ed è prorettrice alla Comunicazione e Immagine.
- La comunicazione e i prodotti sardi. Quali sono secondo te i prodotti agroalimentari che sono più noti al pubblico grazie anche ad una buona comunicazione e quali i prodotti che pur essendo eccellenti ancora aspettano di essere raccontati e valorizzati al meglio?
D’istinto direi che il primato assoluto va alla birra Ichnusa che è quasi indistinguibile dal brand Sardegna: son cresciuti insieme a partire dal nome e senz’altro il merito è dell’investimento in strategie di marketing e comunicazione. Abbiamo altre ottime birre, artigianali, con aromi particolarissimi e profumi della nostra terra, ma restano di nicchia e forse è giusto che sia così. Non so se posso fare proprio i nomi dei brand, ma Niedditas e Arborea hanno senz’altro valorizzato molto bene i loro prodotti (da non consumare insieme, com’è noto anche grazie a una famosa barzelletta). Meglio un buon vermentino, uno dei vini sardi conosciuti al di là dei confini, assieme al cannonau e al mirto. Non so quanto per merito di una buona comunicazione, anche se alcune cantine sono cresciute molto da questo punto di vista.
Le sebadas sono un altro cibo-simbolo, anche se quasi nessuno ne pronuncia bene il nome.
Restano comunque tantissimi margini su prodotti eccellenti che andrebbero fatti conoscere e raccontati (o raccontati meglio): alcuni nostri dolci sono delle opere d’arte ancora poco conosciute. Il miele è speciale, ma spesso viene accostato a prodotti non autoctoni in modo quasi sleale. La bottarga non ha nulla da invidiare al caviale, è un prodotto conosciuto, ma può ancora contare a mio avviso su una enorme potenzialità sia culinaria che comunicativa, è l’oro del nostro mare.
- Qual è la ricetta sarda che ami di più e quale il prodotto che non manca mai a casa?
Una ricetta che amo perché mi sorprende sempre il gusto che quasi inaspettatamente sprigiona è la “fregua” con il muggine, nella versione in sughetto piccante, che prevede nel soffritto oltre ad aglio e prezzemolo, il pomodoro secco e un po’ di peperoncino. Dopo aver sfumato col vino i tranci di muggine, si aggiunge l’alloro e il pomodoro a pezzetti per preparare il brodo al quale si aggiunge dello zafferano. Un mix di sapori da provare. A casa non manca mai uno stock di farine di vario tipo, e dal marzo del lockdown sono entrata nel tunnel della lavorazione di pasta per pizza e pane con il lievito madre, che accudisco ancora un po’ maldestramente, ma amorevolmente.
- Hai importanti mansioni all’interno dell’Ateneo cagliaritano, vuoi raccontare ai nostri lettori e alle nostre lettrici cosa “stai cucinando” per i prossimi mesi dal punto di vista professionale?
Per il momento studio gli ingredienti a disposizione che sono davvero tanti. Non posso ancora svelare cosa “cucineremo”, ma posso anticipare che gli sforzi sono diretti a rendere il patrimonio di conoscenze custodito dalle persone che lavorano in ateneo sempre più condivise sia nella comunità universitaria che nel territorio, incluse le persone più giovani. L’università di Cagliari può dare molto al territorio: siamo al lavoro perché sempre più persone decidano di entrare a far parte della comunità di UniCa. Per questo non basta una sola ricetta, ma ci vuole un intero menu, in cui tutte le pietanze proposte siano valorizzate e possano essere scelte, combinate, e personalizzate. E come tutti i migliori menu contengano i superclassici, ma anche un tocco di innovazione.