Graziano Ladu, 50 anni, chef nuorese, nel 2007 ha rilevato e riaperto il Ristorante il Portico a Nuoro. Apprezzato dai nuoresi e non solo, la sua clientela è ormai internazionale. Con la sua socia Vania Tolu da oltre 15 anni stupisce i clienti con piatti estremamente radicati nella tradizione ma con importanti innovazioni apportate da loro grazie a tanti anni di esperienza all’estero e in Sardegna.
Da quanti anni lavori in questo settore?
Ormai da oltre 30 anni.
Qual è la vostra filosofia di cucina e quanto si discosta da quella di vita? qual è la vostra visione e missione di lavoro?
La nostra filosofia è legata all’utilizzo di materie prime di qualità ma non siamo degli integralisti del km zero. Se troviamo in Sardegna meglio, altrimenti cerchiamo dove troviamo quello più adatto alle nostre esigenze. Studiamo molto le nuove tecniche di lavoro in cucina. Facciamo cucina espressa, ossia fatta al momento, quasi al 100% tranne in poche occasioni e per piatti specifici. Ogni singolo piatto è preparato da zero
Quanto ha inciso l’esperienza di lavoro in Danimarca e Svizzera e in che cosa?
Oggi mantenere un discorso di tradizione è difficile. Non si possono fare le cose esattamente come faceva la nonna ma ci si deve adattare alla clientela.
La cucina sarda attinge tantissimo dalla cucina domestica. Quando andiamo a pranzo o a cena fuori, cerchiamo, come clienti, di ritrovare nei ristoranti questi sapori e profumi di una volta. Per soddisfare il cliente in questo desiderio, lavoriamo molto su una memoria di sapori e profumi che va per macroaree geografiche e di sapori, legata a piatti identitari, conservati nel tempo. Questo modo di lavorare ci ha aiutato a scommettere su Nuoro pensando che i nuoresi avrebbero risposto bene.
Venivamo da un’esperienza di cucina più variegata, soprattutto in Danimarca dove abbiamo potuto esprimerci con prodotti di qualità, cucina rivisitata, ma con profumi che andavano comunque a ricordare la cucina sarda.
Al nostro rientro si era sparsa la voce che eravamo specializzati nella cucina di pesce ed abbiamo avuto un buon successo e quando hanno provato le nostre specialità di carne tutti sono rimasti molto stupiti, quasi non se lo aspettavano.
Quali sono i prodotti che non possono mancare nella tua cucina?
Sicuramente alcune tipologie di pasta come ad esempio “sos lados”, riproposti con ragù elaborati da noi e con formaggi nostrani, come “su casu betzu”.
Più che per prodotti specifici ci interessa avere un’attenzione maniacale per la stagionalità. Ad esempio adesso stiamo lavorando i tartufi bianchi sardi, di Laconi, anche se non è facile ritrovarli nei piatti tradizionali sardi sono particolarmente buoni e profumati.
Poi naturalmente il pesce e la carne legati alla stagionalità come la pecora sarda che è risaputo essere ottima solo in alcuni periodi dell’anno, prevalentemente nella stagione secca. Tra l’altro è una carne che adoro e mi piace proporla in diversi modi, anche con carciofi come con cavoli, secondo la stagione.
In cosa si differenzia, secondo te, la cucina nuorese da quella del resto dell’Isola
Si differenzia. Una prima distinzione, secondo me, è dovuta anche alla crescita che le città e i paesi hanno avuto. Sono cambiate sia le modalità di reperimento del cibo, con l’avvento della GDO, sia le esigenze dei consumatori di città che hanno inevitabilmente influenzato anche chi viveva nei piccoli paesi.
Ciò che si è conservato nell’entroterra è più legato a pastorizia e allevamento. Mentre sulle coste, in particolare nella cucina di mare, è normale avere una cucina re-interpretata, rivista e adattata alle nostre esigenze.
La cucina di mare è diventata curata con la crescita del turismo e dei centri costieri. Nelle zone rurali e centrali non esiste una grandissima o antichissima tradizione di cucina di mare. Per ritrovare questo tipo di cucina tradizionale è sempre necessario spostarsi verso zone specifiche tipo Bosa, Cabras.
Cosa apprezzano di più i clienti del vostro ristorante?
Apprezzano sia la nostra parte creativa sia quella legata alle ricette tradizionali.
Le porzioni sono legate all’appetito dei clienti. Non facciamo piatti da fotografia ma porzioni che soddisfano sia l’occhio sia la pancia. Secondo me a qualcuno sta un po’ sfuggendo di mano la mania dei piatti da fotografia.
In generale in Sardegna siamo buongustai e conosciamo il cibo, ci piace celebrare molte occasioni in ristorante e notiamo che in queste occasioni i clienti apprezzano la nostra disponibilità e flessibilità. Quasi tutti i ristoranti lavorano bene a Nuoro, proprio perché hanno una clientela a cui piace stare a tavola e i clienti sono naturalmente esigenti.
Cosa consiglieresti agli chef sardi in giro per il mondo per far apprezzare al meglio la cucina sarda?
Quello che a noi sembra scontato: la semplicità. Ma più è semplice e più devi essere bravo. Pochi ingredienti ma riconoscibili. Dovrebbero far provare i piatti ai loro clienti bendati e capire se riconoscono gli ingredienti di cui sono composti.
La chiave è la semplicità. Se fai un piatto che piace al nonno e al nipotino hai vinto. Prodotti di stagione del luogo e anche portati dalla Sardegna dove sia possibile.
Ci darei una ricetta sarda per i lettori di Imprentas?
Eccola: Costolette di agnello

Ingredienti:
- Carne d’agnello (o pecora o agnellone)
- Sale e pepe q.b.
- Uovo
- Pane carasau
- Olio d’oliva
- Erbe di campo o bietole o spinaci o cavolo secondo la stagione
- Aromi
Procedimento:
Spuntare le ossa del carré, snervarla e condire la carne con un po’ di sale e pepe.
Passarla nell’uovo sbattuto e impanarla con briciole di pane carasau macinato con il mattarello. Dopo aver impanato le costolette cucinarle in una pentola antiaderente con poco olio di oliva e cucinare a fuoco moderato. Curare bene la doratura su entrambi i lati. Aggiungere a piacere aglio ed erbe aromatiche, timo e rosmarino.
In base allo spessore, finire la cottura in forno per 5-7 minuti a 160 ° C per lasciare la carne al punto rosa, non troppo cotta. Il contorno si può fare con con erbe di campo spontanee saltate in padella con lardo o con bietole o altre verdure di stagione. Naturalmente si possono fare delle varianti con un altro tipo di pane.