Con questa intervista inauguriamo un ciclo di incontri con i nostri partner produttori. L’idea è quella di raccontare i produttori e attraverso la loro storia e i loro aneddoti, trasmettendo ai nostri lettori le motivazioni che ci hanno spinto a sceglierli nel panorama dell’offerta sarda. Pensiamo che nessuno meglio di loro possa raccontare i loro stessi prodotti.
Mario Mereu – Tenute Perda Rubia
Mi lega a Mario un’amicizia pluridecennale dai tempi delle scuole medie, ma l’amore per la loro azienda e il loro vino è scoppiato quando frequentavo l’agrario nei primi anni 90.
Ebbi l’occasione di andare con Mario e suo padre Renato a visitare le vigne della storica Perda Rubia, in agro di Talana a pochi km da Barisardo e Santa Maria Navarrese. Dopo anni di teoria al Tecnico Agrario Brau di Nuoro era la prima vera esperienza in una azienda vitivinicola dove si produce vino dal 1949; la prima azienda della storica provincia di Nuoro ad avere imbottigliato nel dopoguerra. Fu una giornata intensa durante la quale Renato Mereu, agronomo pieno di idee e voglia di fare, mi aveva aperto le porte di un mondo che fino a quel momento avevo visto solo sui libri.
L’azienda Perda Rubia si estende per oltre 300 ettari, con 20 dedicati a vigneti, oliveto, seminativi e boschi. Il vino principale è il Perda Rubia prodotto sin dai primi anni di attività, il Naniha e da qualche anno il Vermentino Lànura. A questi si aggiungono, da quest’anno, un Semidano e due spumanti.
Mario, studi in legge, esperienze all’estero, di quattro fratelli solo tu hai deciso di seguire le orme di tuo padre e di tuo nonno. Ti ha spinto la passione o ti sei ritrovato a farlo quasi per caso?
Mi ha spinto prima di tutto la passione! Ho sempre amato seguire mio padre in campagna, qualche volta saltando anche la scuola, e mi ha sempre affascinato questa dimensione imprenditoriale fatta di pionierismo (oltre che di sacrifici), a contatto con l’ambiente e con la natura. Vedo, in questi territori, grandi potenzialità di crescita, anche culturale, attraverso la valorizzazione di tutto ciò che la natura e la tradizione ci mette a disposizione.
Quale era il desiderio più grande di tuo padre quando c’è stato l’avvicendamento in azienda?
Che non venisse disperso quanto fatto fino ad allora, non tanto in senso materiale quanto in termini ideali. Quindi non una mera conservazione o ripetizione degli stessi gesti nella conduzione aziendale, quanto la continuazione con lo stesso spirito di ricerca e curiosità che ha sempre animato la sua attività e, ancor prima, quella di suo padre (nostro nonno). La conservazione dei beni materiali non è utile se dietro non c’è un’idea di progresso, e di sviluppo, soprattutto sociale.

Siete tra i pochi in Sardegna a coltivare il cannonau ogliastrino a piede franco. Puoi raccontarci meglio in cosa consiste e come si riflette questa pratica nel vino?
La scelta di riproporre il piede franco parte dagli anni ’70, proprio ad opera di mio padre, fresco di studi in agraria a Firenze. L’idea è un po’ romantica, con l’intento di riproporre varietà e metodi antichi, ma nasce anche da una grande sfida: quella di dimostrare che, dopo ormai oltre cento anni, la scienza agronomica poteva permettersi il ritorno alla vite europea in purezza, abbandonando la radice americana. I cloni di vite utilizzati sono quelli provenienti dalle vigne pre-fillosseriche di suo nonno (il mio bisnonno), impiantati direttamente sul terreno e replicati, di anno in anno, attraverso selezione massale. Ora, dopo tanti anni, si sta scoprendo che la vite europea su piede franco, pare sopportare meglio i cambiamenti climatici, e se ne ipotizza la riproposizione su larga scala! Questo per capire quanto sia stata innovativa la sua idea.
La pianta senza innesto, garantisce una continuità linfatica certamente più naturale, e questo si riflette anche nel frutto che, a sua volta, conferisce caratteristiche particolari al vino. Tutti riscontrano, nei nostri vini, un equilibrio organolettico particolare, soprattutto in termini di acidità, che normalmente si raggiunge solo attraverso correzioni in cantina.
Come racconteresti il Perda Rubia in poche righe e concetti?
Quella del Perda Rubia è la nostra produzione più rappresentativa, anche se ormai non l’unica e non la più abbondante. È un vino diretto, senza fronzoli, che vuole esprimere l’eleganza e la piacevolezza del Cannonau in purezza, lontano dall’idea di “pesantezza” che, purtroppo, accompagna spesso il Cannonau. È il vino che esprime la nostra identità e il nostro territorio: sincero e dalle mille anime.
Cosa apprezzano di più i vostri clienti e cosa dicono gli esperti del settore?
Certamente l’originalità è il carattere più apprezzato. Il non cercare di ottenere dal vino quello che si vuole, ma il lasciargli esprimere tutto quello che naturalmente racchiude, lo rende un prodotto assai diverso dal panorama degli altri Cannonau. Per chi se ne intende è un prodotto molto identitario, che racconta in un sorso la storia e l’essenza di un terroir e di una tradizione.
Cosa vi condiziona maggiormente nella produzione? Il mercato con le sue mode o il rispetto al legame che avete con il territorio?
Il legame con la terra e con la natura è certamente ciò che ci guida. Vogliamo evitare qualsiasi forzatura, pur cercando di andare incontro al maggior numero possibile di estimatori (e quindi consumatori). Tuttavia, questa ricerca di equilibrio non è ad ogni costo, e perciò siamo restare fedeli alle nostre radici potrebbe significare per noi qualche rinuncia in termini di domanda.
So che sei molto impegnato insieme ad altri produttori nella tutela e promozione del Cannonau. Cosa bolle in pentola?
Con il Consorzio del Cannonau abbiamo fatto un duro lavoro di “ricomposizione”. Siamo riusciti a convincere tutti i produttori sardi che era il momento di abbandonare decenni di divisioni e di unirsi per un obiettivo comune: la valorizzazione e la tutela del nostro vino, considerando le diversità non un limite ma una ricchezza. Ora il Consorzio ha al suo interno la quasi totalità dei produttori, cosa mai accaduta prima, e questo potrà significare, oltre che il rilancio della denominazione, anche il rilancio di tutto il comparto vitivinicolo sardo.
Hai un aneddoto divertente che puoi raccontarci?
Mi viene in mente quando, da bambino, mi cimentai per la prima volta con una mia piccola vendemmia: presi un po’ di uva, la pigiai in un secchio, e imbottigliai quel succo, senza aspettare che fermentasse, con tanto di tappo ed etichetta. Mesi dopo, quando mi ricordai di quello che avevo fatto, recuperai la bottiglia e la stappai, orgoglioso, facendola assaggiare a mio padre per avere il suo autorevole parere. Fece il gesto di bere, mi disse parole confortanti ma, in realtà, la sua espressione raccontava altro… Capii che avevo tanta strada davanti…
Da qualche anno avete iniziato a fare le visite aziendali e le degustazioni. Che progetti avete per il futuro?
La tradizione di accogliere i visitatori e i clienti “curiosi” l’abbiamo sempre avuta, ma ora per noi, come per tutte le realtà vitivinicole, è diventata una parte importante dell’attività, anche perché molto richiesta. L’idea è quella di rendere gli spazi, sia interni che esterni, sempre più accoglienti e idonei ad ospitare un maggior numero di persone. Ci stiamo organizzando per creare anche un angolo “museale”, che racconti un po’ della nostra storia, con vecchi macchinari e attrezzature che illustrano anche l’evoluzione della vinificazione in Sardegna dal secondo dopoguerra ad oggi. A questo, vorremmo affiancare delle giornate di degustazione di alto livello, con verticali di Perda Rubia che partono dai primi anni ‘60. Una vera chicca per appassionati ed intenditori. Il futuro, per noi, ha solide radici nel passato. Radici di vite a piede franco, ovviamente!